Cass. pen. sez. IV, 1° ottobre 2008, n. 42136
La sentenza si segnala in particolare per i seguenti enunciati:
L’uso del termine preposto che compare in un brano della sentenza di merito è del tutto atecnico e non implica un mutamento della qualificazione soggettiva. D’altra parte, la veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente. Tale ruolo è indipendente dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di spesa) che gli sono propri.
FATTO E DIRITTO
1. Il Tribunale di Rovereto ha affermato la responsabilità R. M. ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen., in danno del lavoratore P.L., commesso con violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Trento.
L’infortunio si è verificato sulla linea di produzione automatica di scaldaacqua. Il lavoratore, dopo aver notato che una macchina non eseguiva correttamente le lavorazioni previste, entrava all’interno della linea di produzione, che rimaneva in funzione in modalità automatica, ed afferrava con la mano sinistra un involucro metallico mantenendolo in posizione per consentire all’apparato di eseguire il ciclo di lavorazione. Dopo che tale procedura era stata eseguita diverse volte, un involucro in lavorazione veniva spinto contro la macchina schiacciando un dito della mano del lavoratore con conseguenti lesioni personali.
All’imputato, direttore dello stabilimento in cui avvenivano le lavorazioni in questione, è stato mosso l’addebito di aver consentito che i lavoratori accedessero usualmente all’interno della catena di lavorazione per consentirne il funzionamento; e di non aver adottato misure tecniche volte ad evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero protetti, segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza. Il primo giudice ha ritenuto che l’attività pericolosa posta in essere dal lavoratore infortunato non era certo sconosciuta ai responsabili dell’azienda e tanto meno costituiva una personale e stravagante scelta della lavoratore. Essa, al contrario, rappresentava la prassi per consentire la lavorazione di pezzi difettosi.
Il giudice d’appello ha parzialmente rivisitato tale ricostruzione degli accadimenti. Si è infatti affermato che allorchè l’infortunato si accorse del malfunzionamento dell’impianto avvertì il capoturno che consultò l’imputato nella veste di direttore dello stabilimento ed ordinò di proseguire la produzione intervento manualmente sugli scaldaacqua. In quel momento si consumò, per l’imputato, la violazione del dovere di sicurezza.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo diversi motivi.
2.1 Con il primo si prospetta che l’imputato è destinatario dell’accusa in relazione alla sua qualifica di direttore di stabilimento e procuratore speciale della società. In primo grado il giudice ha ritenuto che l’imputato non ricoprisse il ruolo di responsabile della sicurezza in assenza di idonee deleghe; e che egli quindi dovesse rispondere del fatto nella veste di preposto. Tale impostazione trascura completamente il fatto che all’interno dell’organizzazione vi erano altri due livelli di preposti, il capo turno ed il capo reparto.
La Corte d’appello, investita della questione ha attribuito al ricorrente il ruolo dì dirigente, senza che tale profilo fosse mai stato oggetto di vaglio dibattimentale. In realtà l’imputato non aveva alcun potere di spesa, ma esclusivamente un potere organizzativo. Inoltre il sinistro si è verificato esclusivamente per omissione dell’obbligo di vigilanza sulla esecuzione della lavorazione da parte del dipendente, che gravava sul capo turno e sul capo reparto. In sostanza all’imputato sono state contestate violazioni di obblighi che non rientravano nelle sue attribuzioni ma in quelle dei preposti. Ancora, il lavoratore ben avrebbe potuto compiere gli interventi in questione con la catena di lavorazione in modalità manuale e non automatica. La scelta di procedere agli interventi con la catena di lavorazione in modalità automatica non può essere in alcun modo addebitata al direttore dello stabilimento:
non vi è prova che l’imputato abbia mai fornito una indicazione in tal senso.
2.2 Con il secondo motivo di ricorso si prospetta mancanza di correlazione fra l’imputazione e la sentenza. L’imputato è stato rinviato a giudizio quale delegato del datore di lavoro. Si è data dimostrazione che tale veste non esisteva ed il primo giudice ha allora ritenuto che la responsabilità potesse essere fondata sulla base della qualità di preposto, mentre il giudice d’appello ha ritenuto che si fosse in presenza di un dirigente. Tuttavia, in violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. si omesso di procedere alla modifica dell’imputazione.
3. Il terzo motivo deduce che nel giudizio di appello si è dimostrato il risarcimento del danno e si è quindi chiesta l’esclusione della parte civile. La Corte d’appello non ha assunto alcuna determinazione al riguardo ed ha anzi liquidato a carico dell’imputato le spese di parte civile. Si versa quindi in una situazione di totale carenza di motivazione.
Il difensore ha successivamente depositato motivi aggiunti.
4. Con il primo motivo si lamenta che la Corte d’appello ha fondato la responsabilità dell’imputato sul fatto che questi avesse autorizzato l’introduzione del lavoratore nella linea di produzione per eseguire l’operazione da cui è derivato l’infortunio. La stessa Corte, tuttavia ha completamente mancato di indicare quali siano gli elementi di prova dei quali possa dedursi tale decisiva emergenza. Si è dunque in presenza di una totale carenza di motivazione. In realtà, la circostanza di cui si discute è tutt’altro che certa, come emerge da alcune dichiarazioni dibattimentali che vengono analiticamente indicate.
5. Con il secondo motivo aggiunto si prospetta travisamento della prova. Infatti, nell’affermare l’esistenza di un ordine di procedere alle lavorazioni nel modo contestato, la Corte d’appello ha travisato le dichiarazioni di un teste e dello stesso infortunato, che si è limitato a riferire di fatti appresi per sentito dire.
6. Con il terzo motivo aggiunto si deduce che la Corte d’appello ha mancato di specificare quale genere di colpa venga mossa all’imputato. Infatti l’ingresso all’interno della linea di lavorazione da parte del lavoratore non può per ciò solo considerarsi causa di addebito colposo: la stessa persona offesa ha riferito che l’ordine impartito era quello di fare il possibile. Si tratta di un comando piuttosto generico che viene arbitrariamente riempito dalla sentenza specificando che l’ordine di proseguire la produzione avrebbe dovuto essere attuato intervenendo manualmente sugli scaldaacqua.
7. Con il quarto motivo si prospetta violazione di legge.
L’imputato, nella qualità di dirigente, non rivestiva una posizione di garanzia che imponesse l’obbligo di vigilanza che era invece attribuito al preposto.
8. Con il quinto motivo si prospetta omessa motivazione circa la rilevanza del comportamento colposo della persona offesa. La questione era stata devoluta in appello non è stata esaminata dalla Corte. Tale valutazione sarebbe stata di notevole rilievo sia ai fini della responsabilità che ordine alla quantificazione della pena e del risarcimento del danno.
9. Con l’ultimo motivo si prospetta illogicità del richiamo del giudice d’appello alla motivazione della sentenza del Tribunale, poichè la sentenza d’appello perviene alla affermazione di responsabilità sulla base di distinti addebiti colposi.
3. Il ricorso è fondato nei sensi che saranno specificati in appresso.
3.1 I primi due motivi di ricorso sono infondati. La contestazione mossa all’imputato si fonda testualmente sulla sua veste di direttore di stabilimento e quindi di dirigente. Mai gli è stata attribuita la veste di preposto che, con tutta evidenza, non gli si confaceva.
L’uso del termine preposto che compare in un brano della sentenza di merito è del tutto atecnico e non implica un mutamento della qualificazione soggettiva. D’altra parte, la veste di dirigente non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell’ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente. Tale ruolo è indipendente dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di spesa) che gli sono propri.
3.2 E’ invece fondato il terzo motivo atteso il silenzio della pronunzia impugnata sul tema inerente alla parte civile.
3.3 E’ infine fondato, decisivo ed assorbente il primo motivo aggiunto. Come si è accennato, il primo giudice ha ritenuto di fondare la responsabilità sulla scelta aziendale che ha ritenuto implicata nel consentire con regolarità procedure di lavorazione non corrette. Il giudice d’appello ha invece ritenuto, motu proprio, di ricostruire diversamente gli accadimenti. Ha infatti implicitamente ritenuto che si fosse in presenza di un episodio isolato e che in particolare, quando il lavoratore si avvide del cattivo funzionamento dell’impianto, avverti il capoturno che consultò l’imputato nella veste di direttore dello stabilimento il quale ordinò di proseguire la produzione intervenendo manualmente sugli scaldaacqua. Sulla base di tale comunicazione telefonica ha ritenuto di configurare la responsabilità del ricorrente.
Tale rivisitazione della materia probatoria è radicalmente carente di motivazione. La Corte non specifica minimamente da quali concrete, oggettive emergenze fattuali si traggano le enunciazioni che riguardano il menzionato colloquio, nè spiega sulla base di quali elementi possa inferirsi che, nel corso del colloquio stesso, il dirigente abbia disposto la prosecuzione delle lavorazioni in modo irregolare. Neppure l’esame della sentenza del primo giudice consente di acquisire informazioni fattuali sul punto, che è stato evidentemente ritenuto non rilevante nell’ambito della diversa analisi della vicenda. Si versa, dunque, in una situazione di completa mancanza di motivazione su un punto che risulta decisivo sulle sorti del processo, atteso che sul colloquio e sul suo contenuto si basa, come si è visto, l’affermazione di responsabilità.
La sentenza deve essere quindi annullata con rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Sezione distaccata della Corte d’appello di Trento in Bolzano.
Roma, 1.10.2008. Deposito 12.11.2008