Cass. pen., sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 41981
La sentenza si segnala in particolare per i seguenti enunciati:
(omissis) Hanno invero diffusamente e puntualmente argomentato i Giudici di seconda istanza -condividendo gli assunti del Tribunale - che l'imputato, in qualità di dirigente con funzioni di direttore dello stabilimento di (OMISSIS) della (OMISSIS) s.p.a. con sede legale In Vicenza (da ritenersi unità produttiva autonoma quale articolazione di un'organizzazione aziendale complessa) era destinatario jure proprio, al pari del datore di lavoro, in forza delle richiamate disposizioni normative, del precetti antinfortunistici "indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni" in tal senso; delega cui impropriamente accenna il capo di imputazione. Se ovviamente al prevenuto, in ragione della qualifica funzionale rivestita, non potevano farsi carico "scelte gestionali generali" (cd. di politica industriale) rimesse al datore di lavoro, era peraltro del tutto pacifico che allo stesso, attesa la posizione apicale ricoperta nell'organigramma dello stabilimento, faceva capo una ben precisa e netta posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavori dipendenti in servizio nello stabilimento dallo stesso prevenuto diretto (cfr. Sez. 4 n. 6277 /2007; Sez. 4 n. 19712/ 2009).
(omissis) RITENUTO IN FATTO
P.C. propone ricorso per cassazione, per tramite del difensore, avverso la sentenza pronunziata il 4 maggio 2011 dalla Corte d'appello di Trieste a conferma della sentenza 4 novembre 2009 del Tribunale di Udine - Sezione staccata di Palmanova con la quale, In esito alla non contestata ricostruzione dell'Incidente in conformità a quanto descritto nel capo d'accusa,fu dichiarato responsabile del delitto di cui all'art. 590 cod. pen., commi 1 e comma 3 commesso in (OMISSIS), in danno dell'operalo dipendente P.G. che ebbe a subire lesioni personali gravi, consistite in trauma facciale con frattura dello zigomo, con conseguente stato di malattia protrattosi per 74 giorni. All'imputato,in qualità di dirigente della (omissis) s.p.a. con delega in materia di prevenzione infortuni, si addebitava di aver omesso, per colpa generica e per la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, di dotare gli operai dell'attrezzatura adeguata a fini della sicurezza individuale ed in ispecie di un gancio, quale terminale di una catena metallica impiegata per il sollevamento di un contenitore dei materiali di scarto dei residui di lavorazione dello stabilimento, munito di dispositivo automatico di chiusura all'imbocco di guisa che, mentre la persona offesa era intenta, insieme al gruista V. S., all'operazione di svuotamento di detti scarti da conferire all'interno di un container, la relativa catena si era sganciata, facendo cadere il cassone ed attingendo al volto l'operaio.
L'imputato veniva per l'effetto condannato, concesse le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di 1 mese di reclusione: pena dichiarata estinta in applicazione dell'indulto. Con un primo motivo di ricorso deduce la difesa la violazione dell'art. 606 cod. proc. pen. lett. b) per inosservanza od erronea applicazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 2 e 35. Si contesta in particolare che possa ascriversi all'imputato la responsabilità in materia antinfortunistica sol perchè costui, nell'organigramma aziendale, rivestiva il ruolo di direttore dello stabilimento, a fronte del difetto di prova che lo stabilimento potesse qualificarsi "unità produttiva", dotata di autonomia finanziaria e tecnico funzionale di guisa che il dirigente di esso potesse ritenersi titolare, in via autonoma, dei relativi poteri decisionali e di spesa sì da poter esser qualificato datore di lavoro, à sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 2 e 35.
Con la seconda censura deduce vizi di violazione della legge sostanziale e processuale in relazione all'insussistenza dell'elemento materiale del delitto previsto dall'art. 590 cod. pen. ed all'inosservanza degli artt. 522 e 598 cod. pen., per difetto di correlazione tra l'accusa contestata e pronunzia di condanna nonchè vizi motivazionali. Secondo il ricorrente, l'infortunio si era verificato, non per l'accidentale sganciamento del gancio in questione, ma perchè il cassone non era stato correttamente posato a terra durante l'operazione di svuotamento di guisa che, essendo stato questo posto su di un piano inclinato anzichè perfettamente parallelo al pavimento, una dei due ganci terminali delle catene che lo sorreggevano al carro - gru veniva a liberarsi dal proprio alloggiamento prima dell'altro. Sicchè la relativa catena andava a colpire al volto,il lavoratore che, a sua volta,non stava controllando, con la dovuta attenzione, lo svolgersi della manovra.
Eccepisce altresì il ricorrente la nullità di cui all'art. 522 cod. proc. pen. In cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale per aver giudicato l'imputato responsabile della mancata adozione di misure organizzative ed integrative di controllo e di vigilanza e non invece per aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non adeguate ad evitare il rischio di infortuni, come contestato nel capo di imputazione.
Con il terzo motivo si duole il difensore della carenza e della illogicità della motivazione in punto alla ritenuta congruità della pena ed all'omessa declaratoria di prevalenza delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve quindi esser respinto con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Con il primo motivo di ricorso, il difensore ripropone, in questa sede, doglianze già sottoposte, con l'atto d'appello, al vaglio della Corte d'appello di Trieste e già giudicate Infondate con congrua ed esaustiva motivazione. Hanno invero diffusamente e puntualmente argomentato i Giudici di seconda istanza -condividendo gli assunti del Tribunale - che l'imputato, in qualità di dirigente con funzioni di direttore dello stabilimento di (OMISSIS) della (OMISSIS) s.p.a. con sede legale In Vicenza (da ritenersi unità produttiva autonoma quale articolazione di un'organizzazione aziendale complessa) era destinatario jure proprio, al pari del datore di lavoro, in forza delle richiamate disposizioni normative, del precetti antinfortunistici "indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni" in tal senso; delega cui impropriamente accenna il capo di imputazione. Se ovviamente al prevenuto, in ragione della qualifica funzionale rivestita, non potevano farsi carico "scelte gestionali generali" (cd. di politica industriale) rimesse al datore di lavoro, era peraltro del tutto pacifico che allo stesso, attesa la posizione apicale ricoperta nell'organigramma dello stabilimento, faceva capo una ben precisa e netta posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavori dipendenti in servizio nello stabilimento dallo stesso prevenuto diretto (cfr. Sez. 4 n. 6277 /2007; Sez. 4 n. 19712/ 2009).
Ed ha opportunamente ancora evidenziato la Corte distrettuale, a logica conferma del riferito ruolo di diretto destinatario jure proprio della normativa antinfortunistica, la circostanza di fatto, rilevata in sede di sopralluogo eseguito nello stabilimento, dopo l'infortunio, dall'addetto al servizio di prevenzione della ASL n. (OMISSIS) - Bassa Friulana, in ordine alla già avvenuta sostituzione dei ganci di sollevamento (rivelatisi inadeguati agli effetti della salvaguardia della incolumità degli operai) con quelli dotati di dispositivo automatico di chiusura all'imbocco; sostituzione attuata ad iniziativa autonoma del direttore dello stabilimento P. C., in virtù - molto verosimilmente - dei necessari poteri gestionali e delle relative disponibilità economiche. La seconda censura è inammissibile.
Quanto alle doglianze in punto responsabilità,doveva ritenersi, in base a quanto pacificamente emerso In fatto, che la causa dell'infortunio risalisse, a titolo di colpa quantomeno concorrente con quella del lavoratore (che non si era assicurato che il contenitore degli scarti si fosse posato su di un piano perfettamente parallelo al pavimento nè si era tenuto, nella fase di svuotamento, a distanza di sicurezza dallo stesso e che non aveva indossato l'elmetto di protezione) anche alla condotta genericamente e specificamente colposa, contestata all'imputato, che,in qualità di dirigente con mansioni di direttore dello stabilimento di (OMISSIS), rivestiva ex lege una posizione di garanzia di natura antinfortunistica in materia di sicurezza. In particolare, come acclarato in sede di giudizio di merito, era emerso che l'imputato, in violazione dell'art. 35, comma 1 e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4 - bis, introdotto dal D.Lgs. n. 242 del 1996, art 1, comma 2, aveva messo a disposizione dei lavoratori dipendenti, ganci sprovvisti di dispositivi di chiusura all'imbocco o comunque di accorgimenti tecnici atti ad impedire lo sganciamento accidentale, dagli stessi, delle funi o della catene, così disattendendo la chiara disposizione cautelare dettata dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 172, in vigore all'epoca del fatto. Il ricorrente, al fine di escludere la sussistenza dell'elemento materiale del delitto di cui all'art. 590 cod. pen. ascritto al prevenuto, sostiene che lo sganciamento della catena dall'apposita asola metallica del cassone non fu accidentale, costituendo al contrario, l'effetto di una manovra necessaria per lo svuotamento del cassone e che la scelta di adottare il gancio conformato anzichè quello con chiusura all'imbocco era stata dettata dalla necessità di evitare che un operaio dovesse intervenire a compiere manualmente la suddetta operazione, salendo sul "rottame presente nel container" con il rischio di cadere e di ustionarsi venendo a contatto con il cassone e con il rottame,riscaldati anche ad elevate temperature. Osserva peraltro il Collegio che, allorchè il ricorrente afferma che l'Incidente non si sarebbe verificato se la parte offesa ed il gruista avessero effettuato con modalità corrette l'operazione, previamente assicurandosi che il cassone non venisse ad appoggiarsi su di un piano inclinato di guisa da provocare lo sganciamento inopinato di entrambe le catene di sostegno, intende in realtà prospettare, mediante la deduzione di vizi motivazionali e di violazione di legge, meramente apparenti, una sostanziale "rivisitazione" in fatto della ricostruzione dell'Incidente (inammissibile in sede di legittimità) cui erano pervenuti i Giudici di merito sulla scorta dell'apprezzamento e delle valutazioni critiche, immuni da illogicità e contraddittorietà, delle emergenze probatorie, come già si è detto; ciò all'ovvio scopo di escludere il contributo concausale nella produzione dell'evento, ascritto all'imputato. Giova richiamare al riguardo, il principio di diritto costantemente riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. S. U. 30.4.1997, Dessimone).
Alla stregua dell'iter argomentativo seguito da entrambi i Giudici di merito (costituente un unico corpus motivazionale integrato) si era ritenuto, anche in esito al giudizio cd. controfattuale, che, ferma la verificata compatibilità tecnica dell'Impiego dei ganci con chiusura all'imbocco in relazione allo svolgimento delle operazioni di smaltimento dei residui di fonderia, il dispositivo sopradescritto (e non adottato in concreto) era l'unico idoneo ad evitare lo sganciamento inopinato della catena dall'asola metallica del cassone in caso di accidentale allentamento della tensione della catena stessa dovuto allo stato di quiete assunto dal cassone su di un piano inclinato anzichè parallelo al pavimento. E' incontestabile che, qualora con la imprudente leggerezza e disattenzione della persona offesa, non avesse concorso l'omissione colposa dell'imputato del mancato impiego di ganci dotati di dispositivo che ne evitasse lo sganciamento accidentale (di cui la stessa fonderia, dopo l'infortunio, ripristinò, sua sponte, l'uso, come riferito dalla Corte d'appello), l'evento non si sarebbe verificato.
Deve inoltre osservarsi che, diversamente da quanto eccepito dal ricorrente, non ricorre alcuna nullità ex artt. 522 e 598 cod. proc. pen. per avere la Corte d'appello ricondotto alla colpa generica per inosservanza delle comuni regole di diligenza e di prudenza (cui si sarebbe dovuto attenere l'imputato nel ruolo di dirigente con funzioni di direttore dello stabilimento) contestata quale concausa dell'infortunio, sul rilievo specifico della mancata "adozione di misure organizzative ed integrative di controllo e di vigilanza " (demandate a colui che rivestiva un ruolo apicale nello stabilimento e quindi del tutto differenti da quelle di ordine esecutivo rientranti invece nelle mansioni del capo squadra o del semplice preposto) finalizzate ad evitare il pericolo dell'accidentale sganciamento degli appositi ganci conformati di fonderia impiegati all'epoca dell'infortunio (privi di dispositivo di chiusura all'imbocco)" tutt'altro che infrequente per varie ragioni (cfr.l'indagine interna sul sinistro effettuata dalla società)", Costituisce invero principio di diritto costantemente riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 4 n. 38818/2005; Sez. 4 n. 35666/2007) quello secondo cui, nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'Imputazione siano stati contestati elementi specifici e generici di colpa (e quindi l'Imputazione riguardi la condotta dell'Imputato globalmente considerata in riferimento all'evento) in tanto può ritenersi violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza in quanto la causazione dell'evento venga contestata in riferimento ad una singola specifica ipotesi colposa e la responsabilità venga invece affermata in riferimento ad un'ipotesi differente. In caso contrario (come nella concreta fattispecie in esame) deve ritenersi legittimamente consentito al giudice Individuare, oltre agli elementi di fatto contestati, altri profili del comportamento colposo dell'imputato emergenti dagli atti processuali in relazione ai quali questi era stato posto in grado di difendersi.
Infondato è pure 11 terzo motivo. La Corte d'appello di Trieste ha ineccepibilmente motivato in ordine sia alla congruità della pena irrogata all'imputato che al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, richiamata per relationem la sentenza di primo grado ove, in punto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, si fa riferimento ai criteri stabiliti dall'art. 133 cod. pen., all'entità delle conseguenze dannose e pericolose del reato ed ai precedenti penali del prevenuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2012. Depos.il 25 ottobre 2012