FLEPAR Inail formula proposte operative per una PA a servizio di cittadini ed imprese, a sostegno del mondo impresa-lavoro e delle PMI. Sviluppa le competenze interdisciplinari dei professionisti pubblici per riforme: PA, sicurezza sul lavoro, giustizia, legalità, prevenzione della corruzione.

Ad attività sindacale FLEPAR affianca una intensa attività propositiva e di studio, fornendo contributi in materie strettamente correlate ai compiti istituzionali Inail: si pone come un laboratorio di idee e progetti caratterizzato da un approccio concreto, frutto dell'esperienza diretta sul campo.

Associazione apolitica e senza scopo di lucro, con carattere sindacale, col fine di tutelare interessi giuridici, economici, e funzione, professionalità, dignità e autonomia dei Professionisti Inail.
Interlocutore sindacale dell'Amministrazione, siede con piena legittimazione a tutti i tavoli sindacali.

Nel corso della storia di FLEPAR Inail abbiamo compreso che non sempre è sufficiente avere una buona idea, svilupparla e proporla nelle giuste sedi ma è altrettanto importante la modalità con la quale questa iniziativa viene veicolata e comunicata. Ci siamo resi conto che una comunicazione adeguata e moderna costituisce un valore aggiunto.

Cass. penale sez. IV, 17 aprile 2012 n. 21205

Cass. penale  sez. IV, 17 aprile 2012 n. 21205

Si segnala la sentenza in particolare per i seguenti enunciati:

(omissis) Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro, originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale per escludere la responsabilità del datore di lavoro può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando l'infortunio, come appunto è accaduto nella fattispecie che ci occupa, sia da ricondurre comunque alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto evento. …

(omissis) si osserva che secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr, tra le altre, Cass. Sez. 4, Sent. n. 12993 del 25.06.1999, Rv. 215165; Cass., Sez. 4, Sent. n. 49462 del 26.03.2003, Rv. 227070) il direttore dei lavori, per conto del committente, è si tenuto alla vigilanza sull'esecuzione fedele del capitolato di appalto, ma proprio in relazione ai poteri di sospensione o interdizione dei lavori in caso di evidenza di pericolosità della organizzazione di cantiere, di violazione delle buone regole dell'arte e di disapplicazione di norme cautelari stabilite a garanzia della salute dei lavoratori o dei terzi, è anch'egli titolare di una posizione di garanzia sulla quale il giudice di merito non si è motivatamente pronunciato …

(omissis) ) RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 9 giugno 2008 il Tribunale di Palermo in composizione monocratica dichiarava la penale responsabilità di C.G., G.G. e M.B. in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di R.D.V. e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, li condannava alla pena di mesi otto di reclusione, pena sospesa e interamente assoggettata all'indulto, nonchè al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite.

Ai tre imputati era stato contestato il reato di cui all'art. 589 cod. pen. aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica perchè il C., nella qualità di caposquadra del cantiere di costruzione di un casotto di campagna in zona demaniale (OMISSIS), per conto dell'Ispettorato Forestale di Palermo, il G. nella qualità di agente tecnico.

Il M., in qualità di Direttore dei lavori del medesimo cantiere, cagionavano, per colpa, senza avere adottato le necessarie cautele del caso per evitare il verificarsi dell'evento letale, la morte di R.D.V. in seguito a lesioni da precipitazione, trovandosi quest'ultimo sulla sommità del muro posteriore del casotto, intento a far passare del materiale da costruzione nella parte interna verso quella esterna, cadendo a peso morto al suolo. In (OMISSIS) (data del decesso il (OMISSIS)).

Avverso la decisione del Tribunale hanno proposto appello gli imputati.

La Corte di Appello di Palermo in data 6.06.2011, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, riduceva la pena a ciascun imputato a mesi 7 di reclusione; dichiarava che la morte di R.D.V. fu dovuta alla concorrente responsabilità della stessa vittima nella misura del 25%, rimanendo suddivisa in parti uguali tra i tre imputati la quantificazione percentuale residua di colpa, riducendo pertanto, come indicato in dispositivo, l'ammontare della provvisionale cui è stato condannato ciascun imputato. Condannava altresì gli imputati e il responsabile civile - Assessorato delle risorse agricole e alimentari della regione Sicilia -, in solido, alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili liquidate come in dispositivo; confermava nel resto l'appellata sentenza.

La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la responsabilità di tutti e tre gli imputati in quanto gli stessi avevano violato l'art. 2087 c.c. che impone all'imprenditore di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Ha invece ritenuto mancante nella sentenza emessa nel giudizio di primo grado il riscontro del profilo percentualistico di responsabilità attribuibile alla condotta della persona offesa, attribuendo alla stessa un concorso di colpa nella misura del 25%.

Avverso la predetta sentenza tutti e tre gli imputati, a mezzo dei loro difensori, proponevano distinti ricorsi per Cassazione chiedendone l'annullamento.

In primo luogo i ricorrenti censuravano l'impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare con più attenzione la condotta colposa della vittima per verificare conseguentemente se, nell'ipotesi di specifiche violazioni da parte degli imputati di norme antinfortunistiche, la violazione delle stesse fosse stata da sola sufficiente ad evitare l'evento. Era stato infatti il R.D. con la sua deliberata condotta di salire sul muro senza alcuna protezione, effettuando un'anomala attività, a determinare in maniera diretta ed immediata il verificarsi dell'incidente.

I ricorrenti M. e C. ritenevano poi che la sentenza impugnata avesse loro addebitato di non avere adottato un comportamento previsto e prescritto da una norma entrata in vigore successivamente ai fatti, dal momento che era stata ritenuta la violazione del D.P.R. n. 626 del 1994, art. 36 quater, commi 3 e 6, norma introdotta con il D. Lgs. n. 235 del 2003 le cui disposizioni, ai sensi dell'art. 7 del medesimo decreto legislativo, sono entrate in vigore a decorrere dal 29 luglio 2005, successivamente quindi ai fatti di cui è processo.

Il ricorrente M.B. censurava poi l'impugnata sentenza per violazione di legge e difetto di motivazione in quanto sarebbe nullo il decreto che dispone il giudizio, non essendo stato specificatamente indicato il comportamento che egli avrebbe omesso.

Il capo di imputazione sarebbe generico e, inoltre, ci sarebbe mancata correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto nella sentenza impugnata si leggeva che il lavoratore era caduto non dal ponteggio, bensì dal muro. Non sarebbe inoltre stato dimostrato che l'ordine di montare il ponteggio fosse stato impartito dal C., a cui era stato impartito dal G., che, a sua volta, l'aveva ricevuto dal M.. Comunque il M. aveva la qualifica di direttore dei lavori e non rientrava tra i suoi obblighi quello di predisporre misure di prevenzione contro gli infortuni, in quanto la sua responsabilità era limitata a garantire la corrispondenza dell'opera al progetto.

Non era inoltre necessaria la sua presenza nel cantiere, non essendo in corso nessuna particolare attività. Non si comprendeva quindi come un suo sopralluogo prima dell'incidente avrebbe potuto evitarlo.

Nel caso che ci occupa poi sarebbe stato inutile che il lavoratore avesse indossato il casco protettivo, atteso che le lesioni che l'hanno condotto alla morte non hanno riguardato il capo, nè che avesse utilizzato la cintura di sicurezza, considerato che non vi era un posto dove fissarla.

D'altra parte erano state distribuite ai lavoratori le schede indicanti i rischi delle varie lavorazioni. Il M. censurava l'impugnata sentenza in quanto nulla si diceva a proposito del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata. Erroneamente poi la sentenza impugnata non aveva dichiarato la revoca della parte civile ai sensi dell'art. 82 c.p.p., comma 2, dal momento che la stessa aveva proposto per lo stesso titolo un giudizio davanti al Tribunale civile ed uno davanti al Tribunale del lavoro. Il reato inoltre doveva essere dichiarato prescritto. G.G. ha censurato l'impugnata sentenza per violazione di legge in relazione agli artt. 40, 113 e 589 c.p. e per difetto di motivazione. Sosteneva infatti che,nella sua qualità di agente tecnico-preposto alla sicurezza, nessuna responsabilità omissiva penalmente rilevante poteva essergli contestata dal momento che, per fatto a lui non addebitabile, egli era impossibilitato a sorvegliare, vigilare, sovrintendere sull'altrui operato e sulla più generale conduzione del cantiere. Le funzioni di sorveglianza, in sua assenza, erano state comunque assunte dal C.. Erroneamente sarebbe stata poi ritenuta la violazione dell'art. 2087 c.c. nei suoi confronti, dal momento che tale art. non è applicabile a persona diversa dall'imprenditore ed egli non aveva l'investitura formale di preposto. Egli, comunque, fin dall'apertura del cantiere, aveva fornito agli operai i necessari presidi.

C.G. infine ha censurato l'impugnata sentenza per violazione di legge, sia per non aver adeguatamente valutato il comportamento imprudente della vittima che, solo, avrebbe determinato l'infortunio e per aver applicato una disposizione che non era ancora in vigore al momento del fatto, sia per non avere disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante perizia medico- legale, che avrebbe potuto far luce sulle effettive cause della morte del lavoratore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorrenti assumono che la condotta colposa della vittima sarebbe stata da sola causa dell'evento. Tale tesi non è condivisibile. Sul punto infatti la pacifica e condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 4, Sent. n. 3877 del 29.09.2005, Rv. 232421) ha stabilito che, in tema di prevenzione antinfortunistica, poichè le relative norme mirano a tutelare la salute del lavoratore, è posto in carico al datore di lavoro l'obbligo di adottare le misure di prevenzione specificamente previste dalla legge e in linea generale tutte le obbligazioni di prudenza e di esperienza ampiamente considerate dall'art. 2087 c.c..

Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro, originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale per escludere la responsabilità del datore di lavoro può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando l'infortunio, come appunto è accaduto nella fattispecie che ci occupa, sia da ricondurre comunque alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto evento. La sentenza impugnata da atto che il lavoratore era caduto al suolo da un' altezza di circa tre metri, non solo in occasione del proprio lavoro, ma a causa degli ordini e delle istruzioni impropriamente impartiti dal C. che gli aveva ordinato di predisporre una impalcatura funzionale al completamento del casotto e della sua copertura. La circostanza che egli sia salito sulla sommità del muro in costruzione al fine di corrispondere alla direttiva di innalzare un'impalcatura, se anche integri una imprudenza del lavoratore, non manda esenti da responsabilità coloro che dovevano vigilare sull'applicazione e sul rispetto delle norme cautelari pertinenti.

Infondata è poi la doglianza del M. secondo cui sarebbe nullo il decreto che dispone il giudizio per genericità del capo di imputazione, non essendo stato indicato il comportamento omissivo da lui posto in essere. Il comportamento omissivo, diversamente da quanto affermato dall'imputato, è stato adeguatamente individuato nelle sue potenzialità lesive dal capo di imputazione.

La sentenza impugnata (pag. 6) evidenzia infatti che tutti gli imputati si sono adeguatamente difesi, con dovizia di argomentazioni, individuando agevolmente i fatti specifici, con riferimento ai quali l'accusa era stata formulata.

Passando all'esame delle singole posizioni, si osserva che il ricorso proposto da C.G. è infondato. E pacifico che egli fosse il caposquadra e pertanto avesse la qualifica di preposto, che è destinatario delle norme antinfortunistiche "iure proprio" e ha quindi compiti di vigilanza che discendono direttamente dalla legge.

Il C. pertanto, come con adeguata motivazione evidenzia la sentenza impugnata, avrebbe dovuto impedire al lavoratore R. D.V. di porre in essere il comportamento che l'ha portato alla morte, e cioè di salire sulla sommità del tetto per passare agli altri operai il materiale per la costruzione del ponteggio. Nè rileva la giustificazione dal C. addotta e cioè quella di essere impegnato in altre aree del cantiere. Parimenti infondata è anche la censura, proposta anche dal ricorrente M., secondo cui non poteva essergli addebitato un comportamento previsto da una norma entrata in vigore successivamente al fatto contestato (D.P.R. n. 626 del 1994, art. 36 quater, commi 3 e 6, entrata in vigore solo con il D.Lgs. n. 235 del 2003), in quanto, come si legge nella sentenza impugnata, la norma sopra indicata si è soltanto limitata a dare nuova veste espositiva ad un precetto che, comunque, è da sempre vigente e operativo nel nostro sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro ed è indicato nell'art. 2087 c.c..

Infondata è infine la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p. mediante perizia medico-legale, che avrebbe potuto far luce sulle effettive cause della morte del lavoratore. E infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "anche nel vigente codice di procedura penale la rinnovazione del giudizio in appello è istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti" (Cass. Pen., Sez. Un., 24 gennaio 1996, Panigoni, RV 203974).

E nella fattispecie i giudici della Corte territoriale hanno puntualmente evidenziato, con argomenti privi di vizi logici, l'assoluta inutilità della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, e la possibilità di assumere la loro decisione con gli elementi già raccolti nel corso del giudizio di primo grado.

Meritano invece accoglimento i ricorsi proposti da G.G. e M.B..

Per quanto attiene al primo, si osserva che egli risponde del reato in qualità di agente tecnico di cantiere della Forestale. Nella catena di comando egli è pertanto l'anello intermedio sovrapponibile al preposto. Nella sentenza impugnata si legge testualmente che "l'imputato C., per sua stessa ammissione, aveva ricevuto l'ordine di fare costruire ai muratori - tra cui il R.D. - quel ponteggio per il casotto, il giorno prima del sinistro, cioè il martedì (OMISSIS), da parte di G.".

Quest'ultimo, peraltro, nei motivi di appello (cfr. pag. 6 e 7 dell'atto di appello) aveva affermato di non avere mai impartito l'ordine di fare il ponteggio e che il C. aveva dichiarato il contrario per difendere se stesso in quanto indagato in ordine al reato di omicidio colposo in danno del lavoratore R.D. V.. Di fronte ad acquisizioni probatorie e a valutazioni di quelle acquisizioni contrastanti in punto di identificazione del soggetto che avrebbe dato l'ordine di costruzione del ponteggio, avrebbe dovuto la Corte di appello dare adeguata motivazione della scelta in forza della quale giungeva alle conclusioni che invece risultano senza motivazione alcuna.

La sentenza impugnata inoltre (cfr. pag. n. 3) ha dato atto che il giorno dell'infortunio il G. aveva dedotto di essere assente dal cantiere perché impegnato in quei giorni in altri cinque cantieri della forestale. Tale circostanza era stata ampiamente dedotta nell'atto di appello, in cui era stato affermato che l'assenza del G. dal cantiere non era dipesa dalla sua volontà, bensì dalla concomitanza di altri impegni di lavoro a cui non aveva potuto sottrarsi. La sentenza impugnata peraltro non si cura di smentire l'obiezione del ricorrente secondo cui egli era assente motivatamente, omettendo proprio di trattare tale argomento, ma afferma apoditticamente (cfr. pag 11) che "l'operaio stava lavorando, a pochi metri da dove si trovavano i superiori responsabili della sua incolumità, senza caschetto od altri indumenti protettivi di sicurezza...". Sarebbe stato in ogni caso necessario stabilire se la temporanea assenza comunque giustificata dava luogo a valido esonero dalle obbligazioni di garanzia che sul G. gravavano.

Su tali punti la sentenza impugnata non fornisce adeguata motivazione e quindi, nei confronti di G.G., deve essere annullata con rinvio.

Per quanto attiene a M.B. si osserva che egli risponde del reato ascrittogli nella qualità di direttore dei lavori del medesimo cantiere.

Tanto premesso si osserva che secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr, tra le altre, Cass. Sez. 4, Sent. n. 12993 del 25.06.1999, Rv. 215165; Cass., Sez. 4, Sent. n. 49462 del 26.03.2003, Rv. 227070) il direttore dei lavori, per conto del committente, è si tenuto alla vigilanza sull'esecuzione fedele del capitolato di appalto, ma proprio in relazione ai poteri di sospensione o interdizione dei lavori in caso di evidenza di pericolosità della organizzazione di cantiere, di violazione delle buone regole dell'arte e di disapplicazione di norme cautelari stabilite a garanzia della salute dei lavoratori o dei terzi, è anch'egli titolare di una posizione di garanzia sulla quale il giudice di merito non si è motivatamente pronunciato. Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio anche nei confronti di M.B..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.G. e di M.B. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio; rigetta il ricorso di C.G. che condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, P.P.G., R.D.L., R.D.M. e R.D. S., liquidate in complessivi Euro 4.000,00 oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2012. Depos. 31 maggio 2012