LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -
Dott. SENESE Salvatore - Presidente di sezione -
Dott. ELEFANTE Antonino - Presidente di sezione -
Dott. MORELLI Mario Rosari - Presidente di sezione -
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere -
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio - rel. Consigliere -
Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. CURCURUTO Filippo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 21418/2007 proposto da:
L.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. BAZZONI
3, presso lo studio dell'avvocato PAOLETTI FABRIZIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato RUBINO GIROLAMO, giusta
delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI GELA, CONSIGLIO NAZIONALE
FORENSE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI
CALTANISSETTA, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI
GELA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 45/2007 della CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,
depositata il 07/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
11/11/2008 dal Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio;
udito l'Avvocato ACCARDO Paolo, per delega dell'avvocato RUBINO
Girolamo;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI
Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il dott. L.V. impugnava, con ricorso al Consiglio Nazionale Forense, la delibere con la quale il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Gela aveva rigettato la sua istanza di iscrizione all'Albo Speciale degli Avvocati in qualità di appartenente all'ufficio legale del Comune di Gela.
Con decisione 7/5/2007 il CNF rigettava il ricorso osservando: che la censura procedurale relativa alla mancata audizione del ricorrente era i-nammissibile perchè proposta non con il ricorso ma solo con la depositata memoria; che infatti non si versava in una ipotesi di nullità radicale insanabile rilevabile di ufficio; che il Consiglio dell'Ordine aveva motivato il rigetto dell'iscrizione nell'albo speciale per la ritenuta insussistenza dell'elemento dell'inserimento nell'ufficio legale del dipendente del Comune a titolo non precario e con stabilità; che, secondo il Consiglio dell'Ordine, la destinazione all'ufficio legale del Comune di Gela del dott. L. era da considerare liberamente revocabile dalla autorità amministrativa posto che nella deliberazione della G.M. allegata dal ricorrente era previsto l'inserimento di quest'ultimo nell'ufficio staff del Sindaco che, per previsione di legge, era caratterizzato da un rapporto personale basato sull'"intuitus fiduciae" e, quindi, revocabile "ad nutum"; che quanto affermato dal Consiglio dell'Ordine non poteva ritenersi superato dalle regioni prospettate con i motivi di ricorso che attenevano essenzialmente alla assunta autonomia dell'ufficio legale e non allo stato giuridico del ricorrente; che anzi al riguardo nella delibera si affermava espressamente che il dipendente poteva essere trasferito ad altro ufficio, salvo il rispetto della normativa del c.c.n.l.; che il ricorrente non aveva apportato valido argomento alla sua tesi affermando di essere stato assunto come funzionario avvocato nella categoria D3; che, non essendoci all'epoca un ufficio legale, era evidente che la qualifica si riferisse allo svolgimento di normali attività burocratiche, sia pur richiedenti adeguata preparazione nel campo legale; che anche il nuovo assetto amministrativo non soddisfava i requisiti richiesti per ammettere l'eccezione al principio generale dell'impossibilità dello svolgimento della professione forense da chi è dipendente; che il dott. L. non era stato assunto quale addetto all'ufficio legale per svolgere le funzioni di patrocinatore delle vertenze comunali posto che lo stesso c.d. ufficio legale, sia pur nella dichiarata autonomia secondo le norme forensi, non risultava struttura a se stante nella pianta organica del Comune, ma come appendice, creata con un variazione del "regolamento comunale degli ufficio e dei servizi", dell'Ufficio del Sindaco in posizione di staff; che l'"intuitus fiduciae" andava ovviamente riferito all'apparato dei soggetti dell'intero staff del Sindaco e, quindi, anche a quello dell'Ufficio Legale in esso inserito.
La cassazione della decisione del CNF è stata chiesta dal dott. L.V. con ricorso affidato a due motivi. Il COA di Gela e il Procuratore Generale presso questa Corte non hanno svolto attività difensiva.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il secondo motivo - che va esaminato in via prioritaria per il suo carattere eventualmente assorbente - il ricorrente denuncia:
violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 31, comma 3, e L. n. 241 del 1990, art. 10 bis; eccesso di potere per difetto di istruttoria;
omessa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglienza della domanda. Sostiene il dott. L. - formulando il connesso quesito di diritto - che la delibera di rigetto della domanda di iscrizione per motivi di incompatibilità pronunciata senza aver sentito l'interessato è affetta da nullità ai sensi delle citate norme. Si tratta di nullità radicale ed assoluta rilevabile anche di ufficio sia dal CNF, sia dalla Corte di Cassazione. Ha quindi errato il CNF nell'affermare che la mancata audizione dell'interessato non concreta una nullità insanabile.
Il motivo è infondato.
Va rilevato che il ricorso proposto dal dott. L.V. contro la decisione del COA di Gela non conteneva - come è pacifico ed ammesso dallo stesso ricorrente - alcuna indicazione del vizio relativo alla mancata audizione, vizio denunciato solo con le memorie depositate nel corso del giudizio innanzi al CNF. Quest'ultimo, quindi, correttamente ha ritenuto inammissibile la detta censura posto che il R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 59, comma 1, nel prescrivere che il ricorso al Consiglio Nazionale Forense deve contenere "l'indicazione specifica dei motivi" sui quali si fonda, risponde alla finalità della esatta individuazione dei vizi del provvedimento che s'intende far valere, della delimitazione, cioè, dell'ambito effettivo del punto o dei punti su cui si invoca il riesame della deliberazione impugnata, e la prescrizione del requisito della specificazione, nel ricorso, dei motivi comporta, conseguentemente, la preclusione dell'esame di questioni, che non abbiano formato oggetto di censure specifiche o che non siano direttamente connesse con quelle dedotte con i motivi di impugnazione.
Dalla citata norma discende il principio che, nel procedimento davanti al Consiglio Nazionale Forense, non possono proporsi nuovi motivi di impugnazione con atti successivi al ricorso, e che, se proposti, essi debbono essere dichiarati inammissibili anche di ufficio.
Con il primo motivo di ricorso il dott. L.V., denunciando violazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, ed eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti, deduce che il Comune di Gela ha certificato che esso ricorrente può essere trasferito ad altro ufficio "solo nei casi previsti dal C.N.C.L.": il CNF ha travisato il senso di tale affermazione ravvisandovi una prova della precarietà del rapporto. Il contratto nazionale di lavoro garantisce infatti la massima autonomia e stabilità al Funzionario Avvocato e lo mantiene indipendente dal Sindaco. Il Comune di Gela, intendendo costituire un Ufficio Legale, con atto della G.M. ha deliberato l'indizione di un concorso per l'assunzione di due "Funzionari Avvocati" prevedendo tra i requisiti l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato. Il detto ufficio è stato quindi creato dalla G.M., ossia dall'unico organo idoneo a dar vita ad un ufficio autonomo. Sono pertanto errate le due affermazioni sulle quali si fonda la decisione impugnata, ossia: l'asserita precarietà della posizione funzionale di esso ricorrente e la mancanza di indipendenza di esso L.. Il ricorrente, al termine delle argomentazioni sviluppate a sostegno del motivo in esame, ha formulato il connesso e corrispondente motivo di diritto.
Le dette censure sono in parte infondate - risolvendosi in una diversa analisi del merito della causa e della valutazione dei fatti come accertati dal CNF - e in parte inammissibili traducendosi nella denuncia di un errore in cui detto giudice sarebbe incorso per travisamento dei fatti e rispetto al quale l'unico rimedio esperibile è quello della revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 4 e non di certo quello ordinario del ricorso per cassazione.
Occorre innanzitutto osservare che la pronunzia impugnata è stata emessa dopo l'entrata in vigore della riforma del giudizio di cassazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, onde trova applicazione l'art. 360 c.p.c., nuovo comma 4, secondo il quale le disposizioni di cui dello stesso art. 360 c.p.c., comma 1, e quindi anche il n. 5, si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalle sentenze contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge: ne deriva che nei confronti delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense possono denunciarsi anche vizi di motivazione, senza peraltro che la deduzione di detti vizi possa essere intesa ad ottenere un riesame delle prove e degli accertamenti di fatto operati dal Consiglio ed un nuovo apprezzamento della loro rilevanza rispetto alle imputazioni (pronunzie di questa Corte a S.U. 10875/2008; 6529/2008).
Ciò posto va rilevato che - come sopra riportato nella parte narrativa che precede - il CNF, confermando l'impugnata decisione del CO A di Gela, ha escluso la sussistenza nella specie dei presupposti per l'iscrizione del ricorrente nell'albo speciale degli avvocati appartenenti agli uffici legali degli enti pubblici. Il CNF è pervenuto a detta conclusione evidenziando che dalla documentazione acquisita (principalmente la deliberazione della G.M. del Comune di Gela contenente l'istituzione dell'ufficio legale) emergevano le seguenti circostanze: al momento dell'assunzione del L. come "funzionario avvocato" non era stato creato l'ufficio legale; il detto ufficio non era una struttura autonoma ma faceva parte dell'ufficio del Sindaco in posizione di staff; la destinazione del L. all'ufficio legale era revocabile potendo essere trasferito ad altro ufficio nel rispetto della garanzie previste dal c.c.n.l.
per tutti i dipendenti.
La decisione impugnata è ineccepibile e conforme ai principi più volte affermati da questa Corte secondo cui l'iscrizione nell'elenco speciale (annesso all'albo) di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, u.c., lett. b, essendo prevista per gli avvocati degli uffici legali degli enti indicati nel precedente comma 2, richiede il concorso di due presupposti: a) deve esistere, nell'ambito dell'ente pubblico, un ufficio legale che costituisca un'unità organica autonoma; b) colui che chiede l'iscrizione - dipendente dell'ente ed in possesso del titolo di avvocato - faccia parte dell'ufficio legale e sia incaricato di svolgervi tale attività professionale, limitatamente alle cause ed agli affari propri dell'ente. La destinazione del dipendente-avvocato a svolgere l'attività professionale presso l'ufficio legale deve realizzarsi mediante il suo inquadramento in detto ufficio, che non avvenga a titolo precario e non sia del tutto privo di stabilità: non è configurabile siffatto inquadramento quando la destinazione all'ufficio legale dell'ente sia liberamente revocabile dall'autorità amministrativa che la ha disposta, essendo invece necessario, ai fini della iscrizione, che la cessazione di tale destinazione sia consentita solo sulla base di circostanze e/o di criteri prestabiliti (in tali sensi, tra le tante, sentenze 677/2005 n. 14213; 18/4/2002 n. 5559;
14/3/2002 n. 3733).
Oltre alla conformità della decisione impugnata agli enunciati principi giurisprudenziali va peraltro segnalato che la valutazione delle risultanze processuali richiamate nella pronuncia di cui si chiede l'annullamento, l'accertamento dei fatti e l'apprezzamento della loro rilevanza ai fini della decisione circa la sussistenza o meno del requisito in questione non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità in quanto la detta attività, istituzionalmente rimessa al CNF, risulta sorretta da motivazione - sia pur sintetica - adeguata e congrua oltre che immune da vizi logici e giuridici.
Le censure al riguardo mosse dal ricorrente si risolvono essenzialmente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, nonchè nella pretesa di contrastare valutazioni ed apprezzamenti dei fatti e delle risultanze probatorie che sono prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità se sufficiente ed esente da vizi logici e da errori di diritto: il sindacato di legittimità è sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l'iter argomentativo seguito nell'impugnata sentenza come emerge dalla motivazione della decisione impugnata, il CNF ha esaminato attentamente il contenuto della delibera della G.M. del Comune di Gela dando conto al riguardo della proprie valutazioni poste a base delle raggiunte conclusioni.
Alle dette valutazioni il ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
Sono pertanto insussistenti le asserite violazioni di legge che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal CNF. Le critiche mosse in questa sede alla valutazione delle risultanze probatorie acquisite non sono meritevoli di accoglimento, oltre che per la loro incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito, anche per la loro genericità.
Sotto quest'ultimo bisogna segnalare che il ricorrente denuncia l'errata interpretazione e valutazione delle risultanze probatorie senza riportare il contenuto specifico e completo di tali risultanze processuali il che non consente di ricostruirne - alla luce esclusivamente di alcune isolate parti - il senso complessivo ed i punti salienti ed importanti. Ciò impedisce a questa Corte di valutare - sulla base delle sole deduzioni contenute in ricorso - la decisi vita dei rilievi al riguardo mossi dai ricorrenti.
Nel giudizio di legittimità, il ricorrente che deduce l'omessa o l'erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l'onere (per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) di specificare il contenuto delle prove non esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo dell'asserito vizio di valutazione:
tale onere non è stato nella specie rispettato.
Il ricorrenti, infine, con la tesi concernente gli errori che sarebbero stati commessi dal giudice di appello nel ricostruire i fatti di causa in relazione alle risultanze probatorie, ha sostanzialmente inteso sostenere che l'impugnata sentenza sarebbe basata su elementi di fatto inesistenti o contrastanti con le risultanze istruttorie (con riferimento, in particolare, al contenuto ed alla valutazione della delibera della G.M.). Trattasi all'evidenza della denuncia di travisamento dei fatti contro cui è esperibile solo il rimedio della revocazione. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la denuncia di un travisamento di fatto, quando attiene (come nella specie) al fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo di revocazione e non di ricorso per cassazione importando essa un accertamento di merito non consentito in sede di legittimità.
L'asserito travisamento dei fatti denunciato con il motivo in esame non è quindi deducibile in questa sede, giacchè tale vizio della pronuncia, risolvendosi nell'inesatta percezione da parte del giudice d'elementi di valutazione - utilizzati, quindi, per la formazione del convincimento in contrasto con il loro contenuto obiettivo quale risultante dagli atti processuali - costituisce un errore denunziabile soltanto con il mezzo della revocazione all'uopo e- spressamente previsto dall'art. 395 c.p.c., n. 4.
Il ricorso deve in conclusione essere rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulla spese di questo giudizio di legittimità non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2008