Cassazione penale sez. IV. 26 ottobre 2011, n. 46820
Si segnala la sentenza in particolare per i seguenti enunciati
Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro , con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2.
Vale la pena di ribadire, come già affermato in altre sentenze, che l'obbligo dei titolari della posizione di sicurezza in materia di infortuni sul lavoro è articolato e comprende non solo l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza , ma anche la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate nonché il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza , degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (v. tra le tante, Sezione 4, 8 luglio 2009, Fontanella, non massimata).
L'addebito di responsabilità a carico del datore di lavoro anche per gli infortuni dovuti a comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, si fonda infatti sul principio secondo cui al datore di lavoro , che è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela (cfr. D.Lgs. n. 81 del 2008 , art. 18, comma 1, lett f)).
(OMISSIS);
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Palermo confermava quella di primo grado che aveva ritenuto D.G.A., in qualità di datore di lavoro, e C.M., in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed in fase di esecuzione, responsabili del reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore D.D. (fatto del (OMISSIS)).
Le modalità dell'infortunio sono state così ricostruite nella sentenza impugnata: l'operaio D., mentre faceva uso della piattaforma provvisoria di installazione della cabina ascensore per portare al piano terzo dello stabile il materiale, a seguito di una improvvisa perdita di equilibrio, intervenuta mentre ritornava dal vano rientrante tra i due ascensori, era precipitato al suolo dall'altezza di circa otto metri, perché il meccanismo di risalita della piattaforma era stato incautamente azionato tanto da porre quest'ultima ad un livello decisamente superiore rispetto a quello del piano ove il D. fino a pochi attimi primi aveva sostato.
Il D.G. era stato chiamato a risponderne in qualità di datore di lavoro perché non provvedeva a dotare gli accessi ai ripiani che separano i due ascensori di parapetto normale con arresto al piede e non provvedeva ad effettuare la formazione, in materia di sicurezza e di salute nei luoghi di lavoro , dei lavoratori dipendenti impegnati nel cantiere. Il C. era stato chiamato, invece, a risponderne in qualità di coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori essendosi ravvisati a suo carico profili di colpa, consistita nell'avere omesso di verificare, con le opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione in cantiere delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro .
La Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilità di entrambi gli imputati sul rilievo che dall'istruttoria dibattimentale era emerso, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il D., con altro operaio, era stato destinato al lavoro di ripulitura dei piani, incluso il secondo, senza che fossero adottate le necessarie misure di protezione che, nel caso di specie, avrebbero riguardato il fissaggio delle pedane degli ascensori usati come montacarichi, con l'ovvia messa in pericolo del lavoratore di cadere nello spazio creatosi, a seguito del fatto che il vano ascensore non si trovava a livello del pianerottolo.
Il giudice di appello escludeva, altresì la configurabilità della condotta abnorme del lavoratore - che, secondo la tesi difensiva, aveva rimosso le pedane per poter accedere all'ascensore - affermando che il rispetto delle regoli cautelari da parte degli imputati avrebbe posto il D. di operare in condizioni di sicurezza e che l'utilizzo dell'ascensore come montacarichi era stato da essi autorizzato per il trasporto di materiale pesante.
Avverso la predetta decisione propongono ricorso per cassazione, tramite difensore, entrambi gli imputati.
D.G.A. lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 525 cod. proc. pen. per avere la Corte territoriale giudicato in diversa composizione pur dopo che alla prima udienza i difensori degli imputati avevano sollevato una serie di eccezioni relative alla nullità delle notifiche degli estratti contumaciali per il D.G. ed avviso di deposito di sentenza per il C., sulle quali i giudici si erano riservati, sciogliendo la riserva con ordinanza solo all'udienza finale di discussione con lettura del dispositivo.
Con il secondo motivo deduce la carenza di motivazione della sentenza impugnata sul rilievo che la Corte territoriale aveva omesso di rispondere ai motivi di impugnazione con i quali si contestava il giudizio di responsabilità fondato sulla omessa formazione del lavoratore.
Con il terzo motivo lamenta la palese contraddittorietà della motivazione della sentenza nella descrizione della dinamica dell'infortunio affermando che il D. aveva perso l'equilibrio (circostanza mai dichiarata dall'interessato). Si sostiene altresì la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui aveva escluso l'abnormità della condotta del lavoratore.
Il C. propone quattro motivi, di cui il primo è identico a quello prospettato dall'altro ricorrente al n. 1.
Con il secondo lamenta la manifesta illogicità della sentenza che, nel fondare il giudizio di responsabilità sull'omesso svolgimento dell'azione di coordinamento e di controllo nel cantiere delle misure di sicurezza contenute nel piano di sicurezza , aveva tralasciato di considerare le risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio di primo grado che dimostravano l'esistenza nel cantiere di tali misure nonché la completa formazione del lavoratore in tema di sicurezza .
Con il terzo motivo si duole della manifesta illogicità della sentenza nella parte in cui, operando una contraddittoria ricostruzione della dinamica del sinistro, aveva escluso l'abnormità della condotta del lavoratore, che trovandosi al secondo piano e dovendo fare dei lavori al terzo piano aveva volontariamente rimosso le pedane per poter accedere all' ascensore (il cui utilizzo era vietato nel piano di sicurezza ) e, al fine di utilizzare impropriamente gli elevatori, si immetteva nel pianerottolo comune tra i due ascensori.
Con il quarto motivo lamenta che erroneamente la Corte di appello aveva disatteso la richiesta di una parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale al fine di disporre una perizia medica finalizzata all'accertamento delle conseguenze della caduta dell'operaio sul luogo di lavoro , già negata dal giudice di primo grado.
In proposito si sostiene che i giudici di appello avevano omesso di indicare le ragioni per le quali si ravvisava l'esistenza delle gravi lesioni personali dalle quali sarebbe derivata una malattia per un tempo superiore ai quaranta giorni, che aveva messo in pericolo la vita della persona offesa, nonostante che dal referto del pronto soccorso emergesse che la dimissione dell'ospedale era avvenuta solo dopo quattro giorni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Quanto all'eccezione di carattere processuale, comune ad entrambi i ricorrenti, per violazione dell'art. 525 cod. proc. pen., in punto di fatto va rilevato che nel procedimento di appello:
- all'udienza del 4/11/2009, la Corte, al fine di fornire risposta alle eccezioni formulate dalla difesa, disponeva l'acquisizione degli atti del fascicolo di primo grado concernenti l'elezione di domicilio e la notifica dell'estratto contumaciale della sentenza di primo grado, rinviando al 16/06/2010;
- all'udienza del 16/06/2010, la Corte, in diversa composizione, previa acquisizione del fascicolo processuale di primo grado, si riservava di decidere nel merito e respingeva l'eccezione sul rilievo che l'eventuale nullità della notifica all'imputato dell'avviso di deposito di sentenza era stata superata dal tempestivo deposito dell'atto di appello; alla medesima udienza confermava la sentenza di primo grado, respingendo l'appello.
Non è, pertanto, configurabile alcuna violazione dell'art. 525 cod. proc. pen., giacché il principio di immutabilità del giudice è rispettato ogni qual volta la sentenza sia deliberata dal giudice che ha partecipato interamente al dibattimento svolgendo la relativa istruttoria (v. da ultimo, Sez. 2, 24 febbraio 2010, n. 11997, Pietrolucci, rv. 247273).
La regola di immutabilità del giudice mira ad assicurare l'identità tra il soggetto che delibera la sentenza e quello che ha presieduto alla raccolta della prova ed alla risoluzione delle questioni attinenti l'oggetto del giudizio.
E' evidente, per quanto sopra esposto in punto di ricostruzione della dinamica processuale, che nessuna violazione del principio di immutabilità del giudice si è verificata nel caso in esame in cui la decisione sulle eccezioni di carattere processuale è stata assunta dagli stessi giudici che avevano acquisito il fascicolo processuale, dinanzi ai quali si è svolta la relativa discussione.
Ciò premesso, i ricorsi meritano trattazione congiunta anche con riferimento al secondo e terzo motivo, con i quali si contesta, sia pure con riferimento ai diversi profili, il giudizio di responsabilità e si svolgono analoghe censure in relazione alla affermata esclusione del nesso di causalità per asserita condotta anomala della parte offesa.
La sentenza di merito appare infatti, congruamente motivata in relazione a tutti i profili di interesse, con corretta applicazione dei principi in tema di accertamento della colpa e di nesso di causalità.
In particolare, a base dell'affermato giudizio di colpevolezza, i giudici d'appello hanno posto con riferimento al G., l'inosservanza delle norme di prevenzione, concretizzatasi nel caso in esame nell'omesso fissaggio delle pedane degli ascensori usati come montacarichi per il trasporto della merce pesante, dietro autorizzazione dello stesso datore di lavoro , che aveva consegnato personalmente le chiavi dell'ascensore al compagno di lavoro della parte offesa.
Le censure proposte dal ricorrente avverso la sentenza impugnata risultano destituite di fondamento.
I giudici di merito hanno, infatti, evidenziato che gli obblighi inerenti alla sicurezza dei lavori, con il conseguente apprestamento delle necessarie misure di protezione e la vigilanza sulla loro adozione, era stato assunto dall' imputato, in funzione del ruolo di datore di lavoro .
E' stato, pertanto, ritenuto che il D.G., nella qualità di datore di lavoro , avrebbe dovuto farsi carico dello specifico rischio inerente all'attività svolta - che prevedeva, tra l'altro, l'uso di un ascensore non ancora terminato come montacarichi - ed affrontarlo con l'indicazione e la adozione di misure di protezione ed attrezzature idonee a prevenire le situazioni di rischio, con la formazione ed informazione dei lavoratori.
La decisione gravata, confermativa di quella di primo grado, appare, pertanto, corretta siccome adottata in piena aderenza a quello che, per assunto pacifico, è il contenuto precettivo dell'art. 2087 c.c..
Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro , con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2.
Ne consegue che il datore di lavoro , ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza , vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera.
In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro , con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2 (v., tra le tante, Sezione 4, 12 giugno 2009, Lo Bello, non massimata).
Vale la pena di ribadire, come già affermato in altre sentenze, che l'obbligo dei titolari della posizione di sicurezza in materia di infortuni sul lavoro è articolato e comprende non solo l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza , ma anche la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate nonché il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza , degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (v. tra le tante, Sezione 4, 8 luglio 2009, Fontanella, non massimata).
Il profilo di responsabilità a carico del C. è stato invece correttamente individuato nella apprezzata carenza organizzativa addebitale all'imputato che, nella sua qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori, aveva omesso di verificare, attraverso una attenta e costante opera di vigilanza,l'eventuale sussistenza di obiettive situazioni di pericolo nel cantiere, quale l'utilizzo di un ascensore non ancora collaudato ed in corso di installazione. La puntuale osservanza di tale obbligo avrebbe all'evidenza consentito di rilevare l'uso improprio dell'ascensore.
La ricostruzione operata in sentenza con l'individuazione degli addebiti colposi riconducibili al D.G. ed al C. e della rilevanza di detti addebiti rispetto alla verificazione dell'evento mortale non offre spazi per potere qui recepire gli assunti difensivi che pongono ancora una volta in discussione il giudizio di responsabilità sostenendo che gli imputati avevano adempiuto agi obblighi gravanti su di loro e che non era esigibile dagli stessi ulteriori e diverse condotte rispetto a quelle poste in essere.
Parimenti non è fondata la censura contenuta nel terzo motivo, afferente il nesso causale, basata sulla asserita interruzione determinata dal comportamento anomalo del lavoratore.
Sul punto, non ci si può che riportare alle esatte considerazioni dei giudici di appello, laddove hanno evidenziato che non può certamente definirsi abnorme la condotta del D. che si trovava lì non per propria iniziativa ma in quanto richiesto di effettuare i lavori sopra indicati, con l'autorizzazione, conferita al compagno di lavoro , direttamente dal datore di lavoro , di utilizzare l'ascensore non ancora collaudato ed in corso di installazione.
La decisione è, pertanto, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte che, come è noto, afferma che la condotta colposa del lavoratore infortunato esclude la responsabilità del datore di lavoro solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità e dell'abnormità, il che, all'evidenza, è da escludere in questo caso.
L'addebito di responsabilità a carico del datore di lavoro anche per gli infortuni dovuti a comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, si fonda infatti sul principio secondo cui al datore di lavoro , che è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela (cfr. D.Lgs. n. 81 del 2008 , art. 18, comma 1, lett f)).
Infondato è anche il quarto motivo proposto nell'interesse del C..
Nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è istituto di carattere eccezionale, in relazione al quale vale la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice. L'art. 603 c.p.p., comma 1, non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti, In una tale prospettiva, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione (sulla quale nei limiti della illogicità e della non congruità è esercitabile il controllo di legittimità) può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere decidere allo stato degli atti (v., da ultimo, Sez. 6, 21 maggio 2009, Messina ed altro, rv. 245009).
Ciò che nella specie deve ritenersi essersi verificato, avendo il giudice di merito esplicitato con adeguata chiarezza il proprio convincimento sulla gravita delle lesioni subite dal lavoratore, a seguito di un "volo" di circa otto metri, con conseguente trauma cranico, tanto da rendere superfluo ed inutile un ulteriore approfondimento attraverso l'espletamento di perizia medica.
I ricorsi vanno, dunque, rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2011. Depositato il 19 dicembre 2011