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Cassazione penale sez. III, 06 febbraio 2008, n. 12405

Cassazione penale sez. III,  06 febbraio 2008, n. 12405

La sentenza si segnala in particolare per i seguenti enunciati:

… Quanto al dettato del D.Lgs. n. 785 del 1994, art. 20 occorre ricordare che la disposizione in esame - citata dal ricorrente per avvalorare la tesi dell’obbligo di specificità delle prescrizioni - si articola in realtà su più commi.

… Ed occorre evidenziare che la prescrizione menzionata al comma 1 della norma citata secondo cui l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 c.p.p., impartisce al contravventore allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, può e non deve essere necessariamente accompagnata - a mente di quanto dispone il successivo comma 3 - dalla indicazione di specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro ad opera dell’organo di vigilanza …

(OMISSIS)

FATTO

Con la sentenza in epigrafe il tribunale di Monza condannava S.G. alla pena di Euro 1.500,00 di ammenda per il reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 11 e art. 389, lett. b) perchè, quale legale rappresentante della SE.P.IN s.r.l., consentiva che lo stoccaggio della merce nella zona destinata a magazzino avvenisse sovrapponendo i bancali contenenti riviste in modo instabile, tale da costituire pericolo per i lavoratori addetti alla movimentazione dei bancali stessi.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputato tramite il proprio difensore eccependo:

1) Nullità del decreto di citazione per indeterminatezza del contenuto del capo d’imputazione non risultando indicate le ragioni della instabilità dei bancali e, di conseguenza, non essendo neanche concretamente individuabili idonee misure di protezione;

2) Inutilizzabilità della testimonianza degli ispettori, delle foto e dei verbali di ispezione per violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p.. Ciò in quanto gli ispettori quali ufficiali di PG, all’atto del sopralluogo, avrebbero dovuto rendere edotto lo S. della assunzione della qualità di indagato facendogli eleggere domicilio e nominare un difensore di fiducia. Inoltre i verbali di ispezione sarebbero stati compilati in violazione degli artt. 136 e 137 c.p.p. in quanto privi della sottoscrizione e delle dichiarazioni dei presenti, nè vi sarebbe stata alcuna contestazione immediata come richiesto anche dalla L. n. 689 del 1981, art. 14.

3) carenza e manifesta illogicità della motivazione in quanto emessa in assoluto contrasto con quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale ed, in particolare, con le dichiarazioni del consulente tecnico, ing. B., il quale avrebbe escluso il pericolo di crollo - fatta salva l’ipotesi del grave errore del mulettista -; con quelle dello Z., dipendente dell’azienda con mansioni di responsabile della sicurezza, che avrebbe attestato la costante attenzione dell’azienda per gli aspetti di prevenzione antinfortunistica; e con quelle di P.M.T. che avrebbe dichiarato che nessuna situazione di pericolo era stata evidenziata dai dipendenti; infine che la movimentazione dei bancali avveniva tramite muletti dotati di gabbia di protezione per il manovratore;

4) Nullità dell’azione penale per violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p. e D.Lgs. n. 547 del 1955, art. 11 stante la genericità della diffida.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

In relazione al primo motivo osserva il Collegio che la genericità dell’accusa rileva solo nel caso in cui l’incertezza pregiudichi il diritto dell’imputato ad esercitare pienamente il diritto di difesa.

Il che è da escludere, invece, nel caso di specie in quanto la condotta attribuita allo imputato appare sufficientemente delineata nei tratti essenziali facendo espresso riferimento la contestazione “allo stoccaggio della merce effettuato sovrapponendo i bancali contenenti riviste in modo instabile, tale da costituire pericolo per i lavoratori addetti alla movimentazione dei bancali stessi”.

Quanto al secondo motivo di ricorso vengono dedotte questioni diverse, tutte evidentemente finalizzate ad eccepire l’inutilizzabilità processuale degli elementi d’indagine.

Si tratta di questioni prive di fondamento.

Va anzitutto precisato che la decisione del tribunale si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni degli ispettori della ASL che, nel corso di un controllo di carattere amministrativo, hanno riscontrato l’irregolare (e pericoloso) stoccaggio della merce nel locale del ricorrente, e sulle fotografie scattate nel corso del sopralluogo stesso e del successivo controllo tecnico.

Ciò premesso si osserva che nessuna questione può in realtà essere posta in relazione alla testimonianza resa dagli ispettori ben potendo questi ultimi essere sentiti in dibattimento per descrivere l’attività d’indagine svolta e la situazione dei luoghi accertata.

Per quanto concerne i rilievi fotografici che documentano la situazione degli scaffali si tratta invece di accertamenti non ripetibili - peraltro mai disconosciuti dal ricorrente - che come tali possono certamente essere acquisiti nel fascicolo del dibattimento (Sez. U, n. 41281 del 17/10/2006 Rv. 234906).

La doglianza dello S. relativa alla mancata osservanza dell’art. 220 disp. att. c.p.p. non ha evidentemente pregio.

Come noto, infatti, la disposizione citata si limita unicamente a richiedere che gli atti necessari ad assicurare le fonti di prova ed a raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale, qualora assunti nel corso di un’attività ispettiva di carattere amministrativo, siano compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice.

Versandosi nella specie - limitatamente ai rilievi fotografici - in tema di accertamenti urgenti, il ricorrente non può dolersi della mancata possibilità di nominare e fare intervenire un difensore in quanto quest’ultimo, a mente degli artt. 354 e 356 c.p.p., ha facoltà di assistere a tali atti solo se presente.

Sostanzialmente inammissibile si appalesa il terzo motivo di ricorso che si risolve nella richiesta di una diversa valutazione degli elementi di prova, come noto preclusa in sede di legittimità.

Ed, invero, le dichiarazioni del consulente di parte risultano motivatamente disattese dal tribunale con argomentazioni congrue ed incensurabili sul piano logico avendo spiegato il giudice di merito le ragioni per le quali non aveva ritenuto rilevanti ai fini della decisione tali dichiarazioni.

Infondato si appalesa anche l’ultimo motivo di ricorso con il quale si contesta la genericità della diffida; circostanza questa che si assume avere impedito allo S. di ovviare a presunte irregolarità evitando le conseguenze del procedimento penale.

In realtà il ricorrente non risulta avere posto in alcun modo riparo alla situazione di pericolo riscontrata dagli ispettori ASL. Quanto al dettato del D.Lgs. n. 785 del 1994, art. 20 occorre ricordare che la disposizione in esame - citata dal ricorrente per avvalorare la tesi dell’obbligo di specificità delle prescrizioni - si articola in realtà su più commi.

Ed occorre evidenziare che la prescrizione menzionata al comma 1 della norma citata secondo cui l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 c.p.p., impartisce al contravventore allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, può e non deve essere necessariamente accompagnata - a mente di quanto dispone il successivo comma 3 - dalla indicazione di specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro ad opera dell’organo di vigilanza.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 6.2.2008. Deposito 20.3.2008