REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
TRIBUNALE di NOLA
Il TRIBUNALE di NOLA, II sezione civile, in composizione monocratica nella persona della Dott.ssa Caterina Costabile ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella cause riunite nn. 3653/2002 e 4868/2003 R.G. in materia di risarcimento del danno causato da sinistro stradale vertente
TRA
R.C., rappresentato e difeso dagli Avv. Luigi Pasquale Guadagni, Giuseppe Picozzi e Marcello Pipola in virtù di mandato a margine all'atto di citazione I.N.A.I.L. - SEDE AVELLINO, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. Sergio Parrella, Guido D'Avanzo ed Agostino Franzese in virtù di mandato in calce all'atto di citazione
ATTORI
CONTRO
AUGUSTA ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Carlo Petrillo e Maria Carmela Fratta in forza di mandato in calce alla copia notificata dell'atto di citazione
CONVENUTA
E
CA.A. CONVENUTO CONTUMACE
CONCLUSIONI: come da verbale di udienza del 9.2.2010
Fatto
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato R.C. conveniva dinanzi a questo Tribunale C.A. e la Augusta Assicurazioni s.p.a., il primo in qualità di proprietario-conducente e la seconda in qualità di compagnia assicuratrice della del veicolo Fiat Tempra tg. OMISSIS, sul quale viaggiava in qualità di terzo trasportato, per sentirli condannare al risarcimento dei danni derivanti dal sinistro stradale avvenuto in data 11.4.2001 all'uscita del casello autostradale di Baiano, dir. Napoli.
La compagnia assicurativa costituendosi deduceva l'infondatezza della domanda.
All'udienza del 30.9.2004 veniva riunito a tale procedimento il giudizio R.G. n. 4868/03 avente ad oggetto l'azione ex art. 1916 c.c. promossa dall'INAIL nei confronti dei con venuti.
Assunta la prova testimoniale ed espletata CTU medico-legale, le cause venivano quindi rimesse in decisione all'udienza del 9.2.2010 con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.
A) Il fatto storico posto dal Caccia a base della sua domanda risarcitoria risulta provato.
In punto di diritto è bene innanzitutto rimarcare che, secondo l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, l'art. 2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito). Se ne fa conseguire che il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, possa invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il terzo comma per far valere quella solidale del proprietario, che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno (cfr. Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2001, n. 4022; Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2000, n. 5342; Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 1998, n. 10629 ).
Deve ora osservarsi che perché possa invocarsi la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2054, I comma, c.c. è comunque necessario accertare il nesso di causalità tra l'evento dannoso e la condotta umana, ovvero tra la circolazione del veicolo e l'evento.
Ebbene, nel caso di specie la causazione del sinistro per cui è causa è da ascriversi in via esclusiva al conducente C.A..
Invero, è emerso dall'istruttori espletata che in data 11.4.2001 verso le 6:00 l'attore viaggiava sulla A/16 in direzione Napoli a bordo della Fiat Tempra tg. OMISSIS, di proprietà di C.A. e dal medesimo condotta, quando all'uscita del casello autostradale di Baiano il veicolo uscì fuori strada finendo in un fossato.
Il sinistro avvenne perché, come riferito dal teste M.R. (che viaggiava anch'egli a bordo del medesimo veicolo in qualità di terzo trasportato), "a causa di un colpo di sonno l'C.A. sbandava dapprima verso il centro della carreggiata e poi, riprendendosi dal torpore, sterzava repentinamente a destra, andando così a finire sul margine destro della corsia dentro la cunetta che corre parallela alla strada stessa" (cfr. verb. ud. del 21.6.05).
La deposizione del teste appare pienamente attendibile in quanto logicamente coerente nonché convergente con le dichiarazioni rese dallo stesso conducente subito dopo il sinistro alla Polizia Stradale di Mercogliano (cfr. verbale in atti).
B) Nel giudizio riunito R.G. n. 4868/03 l'INAIL ha proposto domanda ex art. 1916 c.c. nei confronti di C.A. e della Augusta Assicurazioni poiché, integrando il sinistro per cui è causa un'ipotesi di infortunio "in itinere" (l'C.A. e i due trasportati stavano infatti tornando a casa dopo il turno di lavoro notturno), aveva erogato le relative prestazioni assicurative in favore di R.C. e di M.R..
In giurisprudenza si è, invero, affermato che costituisce infortunio in itinere, come tale indennizzabile dall'INAIL, quello sofferto dal lavoratore a seguito di sinistro automobilistico occorsogli durante il tragitto per recarsi da casa al lavoro e viceversa, qualora risulti provata la necessità dell'uso del veicolo privato a causa della mancanza o comunque dell'inadeguatezza dei mezzi pubblici per raggiungere il lavoro, e ciò indipendentemente dall'accertata responsabilità colposa dello stesso lavoratore nell'incidente (cfr. Trib. Milano 17 ottobre 2001, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2002, 213).
Tale circostanza impone di affrontare preliminarmente la problematica relativa alla possibilità per il lavoratore assicurato Inail di chiedere al responsabile del sinistro il c.d. danno differenziale derivante dalla differenza tra il risarcimento astrattamente spettante sulla base dei principi civilistici e l'indennizzo erogato dall'Inail.
In accordo con un'impostazione più restrittiva, successivamente all'entrata in vigore del d.lg. n. 38 del 2000, che prevede l'indennizzo anche del danno biologico da invalidità permanente, in caso di infortunio sul lavoro la cui responsabilità sia ascrivibile al datore di lavoro, il lavoratore non può ottenere dal datore o dal terzo responsabile il risarcimento del danno biologico differenziale (ossia il pagamento, a titolo di danno biologico, di somme ulteriori rispetto all'indennizzo erogato dall'INAIL per tale voce di danno), salvo il caso in cui lo stesso danneggiato provi la sussistenza, nel caso concreto, di componenti di danno biologico non indennizzate e tali da determinare una valutazione personalizzata del valore di punto da attribuire al danno biologico stesso (in tal senso v. Trib. Vicenza 3 giugno 2004, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 356).
Questo Giudice ritiene, tuttavia, di dover aderire alla impostazione della prevalente giurisprudenza di merito per la quale l'indennità erogabile dall'INAIL in base ai parametri stabiliti dall'art. 13 l. n. 38 del 2000 per il danno biologico riportato dal lavoratore in seguito ad incidente stradale verificatosi nel tragitto per recarsi al posto di lavoro, non esclude la corresponsione del danno "differenziale", ovvero del maggior pregiudizio sofferto in concreto, in quanto la somma liquidabile a titolo di indennità, ex art. 13 l. n. 38 del 2000, non è esaustiva di tutti gli aspetti del danno biologico, costituendo un mero indennizzo finalizzato a garantire mezzi adeguati al lavoratore infortunato e non a risarcir1o integralmente dei danni riportati, con la conseguenza che, ove sia accertato un danno ulteriore rispetto alle somme liquidate dall'INAIL, è necessario procedere all'ulteriore risarcimento (cfr., ex ceteris, Trib. Piacenza, 4 giugno 2009, n. 401, in Giur. merito 2010, 1, 97; Trib. Monza, sez. IV, 16 giugno 2005 n. 1828, in Riv. giur. circ. trasp., 2005, 342; App. Torino 29 novembre 2004, in Foro it., 2005, I, 1911).
C) Quanto alla domanda di surrogazione proposta dall'Inail, giova evidenziare in punto di diritto che la surrogazione dell'assicuratore prevista dall'art. 1916 c.c. integra una successione a titolo particolare nel credito risarcitorio fino alla concorrenza dell'ammontare dell' indennizzo, la quale si verifica nel momento in cui l'assicuratore fornisce notizia al terzo responsabile del pagamento effettuato all'assicurato, esprimendo la volontà di avvalersi della citata norma, ed implica l'opponibilità all'assicuratore delle eccezioni invocabili contro l'assicurato alla suddetta data, per effetto del subingresso dell'uno nella stessa posizione dell'altro (cfr. Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2007, n. 11457; Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2004, n. 9469).
Più precisamente, la surroga dell'assicuratore prevista dall'art. 1916 c.c. si perfeziona con il concorso di due elementi, uno oggettivo e l'altro soggettivo; quello oggettivo è costituito dal pagamento da parte dell'assicuratore dell'indennità (e non dalla prova di esso); quello soggettivo dalla comunicazione della volontà di surrogarsi in qualsiasi forma, non esclusa la citazione in giudizio (ex plurimis Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1994, n. 5165).
La difesa del Caccia ha eccepito l'impossibilità dell'Inail di aggredire le somme liquidate al danneggiato a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale in quanto l'indennità, prevista dal D.P.R. n. 1224 del 1965 e liquidata dall'istituto, è collegata e commisurata esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato.
Tale eccezione risulta destituita di fondamento avendo nella fattispecie in esame l'Inail costituito in favore del Caccia una rendita ex art. 13 D.Lgs. n. 38 del 2000.
Invero, prima della riforma introdotta dal d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38, la copertura assicurativa prestata obbligatoriamente dall'Inail in favore dei lavoratori comprendeva unicamente il danno da riduzione dell'attitudine al lavoro, e non il danno biologico. Tale circostanza aveva portato la S.C. - in virtù della nota giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n. 319 del 1989, n. 356 del 1991 e n. 485 del 1991) -, a ritenere che il giudice potesse accogliere l'azione di rivalsa dell'Inail (sia in caso di azione di regresso, di cui agli art. 10 e 11 d.P.R. n. 1124 del 1965, sia in caso di azione in surroga di cui all'art. 1916 c.c.) solo entro i limiti della somma liquidata in sede civile a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, previo accertamento dell'esistenza e dell'entità di tali danni, in base alle norme del codice civile, essendo al contrario preclusa all'ente la possibilità di aggredire le somme liquidate al danneggiato a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale (cfr. Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2008, n. 255; Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2006, n. 17960; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19150)
Ciò in quanto la copertura assicurativa prevista dal precedente sistema di assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, non era riferibile al danno non patrimoniale (nelle sue varie componenti), essendo le indennità previste dal d.P.R. n. 1224 del 1965 collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato e non assumendo alcun rilievo gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione stessa comporta con riferimento agli altri ambiti ed alle altre modalità di espressione della personalità del danneggiato nella vita di relazione, tra cui la stessa capacità di lavoro generico (cfr. Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19150; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2001, n. 10289).
Tuttavia, deve ora necessariamente ritenersi che il danno biologico cui ha riguardo la nuova normativa previdenziale non può sostanziarsi in concetto ontologicamente distinto da quello cui ha riguardo la normativa civilistica. Mentre ex art. 13 d.lg. n. 38/2000 devono essere cogentemente applicati i criteri di liquidazione standard disciplinati dalla tabella degli indennizzi, in relazione ai baréme previsti alla tabella delle menomazioni, nel processo civile muta il tipo e l'entità della tutela che richiede una valutazione maggiormente complessa e personalizzata ai fini risarcitori. Ciò nondimeno, non può conseguire a queste diverse modalità di accertamento e liquidazione, il venir meno del diritto dell'ente al recupero di quanto versato per il ristoro dello stesso danno. Del resto, alla luce della nozione di danno biologico prevista dall'art. 13 citato e dagli art. 138 e 139 Cod. Assicurazioni accolta espressamente dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2008, n. 26972), di danno biologico "statico" e cioè del tutto avulso dagli aspetti interrelazionali, "non è più dato discorrere".
D) È noto che l'esercizio della surrogazione da parte dell'assicuratore comporta la perdita della titolarità del credito del danneggiato nei confronti del responsabile e l'acquisto dello stesso da parte dell'assicuratore, con la conseguenza che qualora la capitalizzazione della rendita erogata superi il danno liquidato in sentenza in favore del danneggiato, nessun altra somma è dovuta a quest'ultimo (cfr. ex multis Cass. civ., 15 luglio 2005, n. 15022).
Appare, dunque, a questo punto necessario quantificare i danni subiti dal Caccia a seguito dell'incidente stradale per cui è causa onde verificare se e in che termini possa trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno differenziale.
D1) Quanto al danno biologico, definito dagli artt. 138 e 139 del d.lgs. n. 209/2005 quale "lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente dalle eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito", questo Giudice aderisce al più recente arresto del S.C. (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2008, n. 26972), a termini del quale l'area del danno risarcibile va anzitutto ricondotta nell'ambito delle due sole categorie del danno patrimoniale (art. 2043-1218 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), ambito, quest'ultimo, nel quale deve ora ritenersi collocato il danno biologico.
Invero, deve ritenersi superata - alla luce di una lettura dell'art. 2059 c.c. in chiave costituzionalmente orientata - la tesi (cfr. Corte Cost., 14 luglio 1986, n. 184) che ammetteva il risarcimento del danno biologico sulla base del collegamento tra l'art. 2043 c.c. (nel quale si faceva rientrare tale voce di danno) e l'art. 32 Cost. Operazione ermeneutica, quest'ultima, che veniva effettuata al fine di sfuggire alla altrimenti non risarcibilità del danno non patrimoniale, in una lettura riduttiva dell'art. 2059 c.c, ancorata unicamente alla sussistenza di specifiche previsioni legislative che ne ammettevano la risarcibilità (art. 185 c.p.; l. n. 117/87, ecc.).
Viceversa, all'esito di un condiviso iter logico-argomentativo, le SS.UU. cennate hanno affermato il principio secondo il quale "il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona ".
Ebbene, per quanto attiene alla quantificazione dei danni non patrimoniali subiti dal Co. a seguito del sinistro stradale in questione, va rilevato che dalla CTU è emerso - con motivazione immune da vizi logici e sulla scorta di condivisibili argomentazioni - un danno biologico permanente pari a 20 punti percentuali nonché una invalidità temporanea totale pari a 60 giorni, ed una invalidità temporanea parziale pari a 120 giorni al 50%.
Quanto ai criteri di liquidazione, questo Giudice, al fine di assicurare uniformità di orientamenti nel risarcimento del danno non patrimoniale, segue il sistema delle c.d. "Tabelle Milanesi", che prevedono la liquidazione del danno biologico, nei suoi aspetti statici e dinamici, secondo il metodo a punti, per valori rapportati all'età del danneggiato ed alla percentuale d'invalidità.
In particolare, le Tabelle Milanesi del 2009 sono state redatte tenendo conto dei principi enucleati nelle sentenze delle SS.UU. innanzi richiamate prevedendo una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a "lesione permanente dell'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale" (sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali e relazionali medi ovvero peculiari) e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore, sofferenza soggettiva, in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione.
È stata così redatta una tabella di valori monetari medi corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili" e sono state poi previste delle percentuali di aumento di tali valori medi da utilizzarsi onde consentire un'adeguata personalizzazione complessiva della liquidazione, laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengono allegate e provate dal danneggiato.
Il danno biologico permanente ammonta, dunque, ad euro 66.765,00 considerata la percentuale di invalidità (20%) e tenuto conto che all'epoca del fatto l'attore aveva 33 anni. Tale importo che appare adeguatamente personalizzato, tenendo presenti le limitazioni psicofisiche delle lesioni subite in relazione all'età dell'infortunato, al suo ambiente sociale ed alla sua ordinaria vita di relazione.
Va, poi, riconosciuta al Nappi l'ulteriore somma euro 5.280,00 per l'inabilità totale temporanea (euro 88,00 x 60) e la somma di euro 5.280,00 per l'invalidità temporanea parziale al 50% (euro 44,00 x 120).
Il danno biologico da risarcire ammonta, quindi ad un totale di euro 77.325,00 (euro 66.765,00 + 5.280,00 + 5.280,00).
D2) Venendo ora ai danni non patrimoniali diversi (morale/esistenziale/vita di relazione), occorre nuovamente richiamare i principi esposti dalle quattro sentenze gemelle delle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2008, nr. 26972-73-74 e 65), le quali nel riprovare l'interso sistema nell'ambito della bipolarità tra danno patrimoniale e non patrimoniale e nel respingere qualsiasi ulteriore sottocategoria se non quali mere sintesi descrittive di singoli pregiudizi, hanno individuato, sul piano operativo, due contrapposti principi che il Giudice deve tenere entrambi sempre in considerazione, per operare la corretta liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, trovando il giusto punto di equilibrio.
Il principio secondo il quale l'ampia nozione di danno non patrimoniale desumibile dall'interpretazione costituzionalmente orientata dall'art. 2059 c.c. impone la considerazione di tutte le singole conseguenze pregiudizievoli (c.d. danno-conseguenza) derivanti dalla lesione dell'interesse (danno -evento o danno ingiusto) e, pertanto, non solo le mere sofferenze psichiche che venivano in passato qualificate come danno morale c.d. soggettivo ma anche le ripercussioni sull'esistenza delle persone, con riguardo al "non poter più fare", ricondotte in passato sotto le categorie del danno biologico o del danno esistenziale .
Il principio secondo il quale vanno evitate con cura tutti i rischi di duplicazioni risarcitorie, ossia il rischio di risarcire due volte la stessa conseguenza pregiudizievole, ossia lo stesso danno, mediante l'espediente di definirlo in modo diverso.
Pertanto, se sono solo due le categorie di danno risarcibili, va però subito avvertito che la categorie del danno non patrimoniale può risultare composta da una somma di pregiudizi o "voci" risarcitorie che, benché non possano assurgere ad autonome categorie, devono essere tutte considerate ai fini della liquidazione integrale del danno. Infatti, la mancata considerazione di una singola conseguenza pregiudizievole comporta la violazione del principio di integrale risarcimento del danno, così come la doppia considerazione della medesima conseguenza pregiudizievole, variamente denominata, implica la violazione del divieto delle duplicazioni risarcitorie.
Ed in questa nuova prospettiva, va letta la già compiuta liquidazione del danno biologico operata sub. D1), quale parte del danno non patrimoniale da quantificarsi complessivamente.
Le SS.UU hanno concluso per la inammissibilità nel nostro ordinamento di un'autonoma categoria di "danno esistenziale", inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona: infatti, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di un'ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove invece si volessero includere in essa pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, si tratterebbe di categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 c.c. (in termini ulteriormente confermativi sul punto, cfr. Cass. civ., Sez. Un., 14 gennaio 2009, n. 557).
Quanto al danno morale, poi, la stessa giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, senza dunque duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici.
Tale affermazione consente di ritenere che il ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza psichica e fisica, ossia il vecchio danno morale, potrà continuare ad influire sulla concreta liquidazione del danno, sotto forma di adeguamento del danno biologico o, meglio ancora se si vuole adottare sino in fondo la sistematica concettuale delle Sezioni Unite, del danno non patrimoniale genericamente inteso, unitariamente considerato e composto sia dai pregiudizi di tipo esistenziale sia delle sofferenze interne, alla condizione che dette sofferenze siano allegate e provate, anche per presunzioni.
Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce infatti danno conseguenza e come tale deve essere sempre allegato e provato (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2008, n. 26972; Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828; Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2003, n. 16004).
Nel caso de quo non vi è prova alcuna che l'attore abbia subito un pregiudizio ulteriore, in termini di sofferenza psichica e fisica, rispetto a quanto già liquidato a titolo di danno non patrimoniale sotto la "voce" danno biologico.
Non può, pertanto, trovare accoglimento la domanda di liquidazione di pregiudizi non patrimoniali ulteriori rispetto alla lesione del diritto alla salute.
E) L'importo riconosciuto in favore del Caccia in relazione al danno non patrimoniale subito (pari ad euro 77.325,00) è già indicato in valori monetari attuali.
Può farsi ricorso, poi, al tasso degli interessi al 3% annuo (stimato ragionevole, alla luce dell'intervenuta inflazione) per risarcire, in termini di lucro cessante, il danno imputabile al ritardo con cui il danneggiato ottiene la disponibilità dell'equivalente pecuniario del debito di valore dedotto in lite. Tali interessi al tasso del 3% annuo dovranno calcolarsi con riferimento all'arco temporale intercorso tra l'illecito (11.4.2001) e la presente pronuncia, sulla somma dapprima originariamente devalutata alla data dell'illecito e successivamente incrementata anno per anno nominalmente fino all'importo liquidato in base ai coefficienti ISTAT (si veda per l'adottato metodo di liquidazione Cass. civ., Sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712).
Sulla base di tali parametri di calcolo alla data del 17.5.2010 (data di deposito della presente sentenza) la somma dovuta ammonta ad euro 97.041,98 (comprensiva di interessi al tasso del 3% e rivalutazione monetaria), come si evince dal seguente schema
omissis
F) Ritornando, quindi, alla domanda di regresso proposta dall'Inail in relazione alla posizione del Caccia, giova prima di tutto rimarcare che il credito dell'Inail per rimborso delle prestazioni eseguite a favore dell'infortunato - verso il terzo autore del danno ovvero verso il datore di lavoro che sia parte del rapporto assicurativo - è credito di valore e non di valuta, corrispondendo alla passività patrimoniale che l'istituto subisce effettivamente in conseguenza degli esborsi o dello stanziamento di una determinata somma capitale produttiva della rendita da versare all'infortunato. Conseguentemente, se per effetto della revisione della tabella di capitalizzazione della rendita, intervenuta nel corso del giudizio, l'importo originariamente richiesto subisca un aumento, la maggior somma risultante non è che la valutazione della passività effettiva secondo parametri attuali che - trovando la loro fonte normativa in atti ufficiali dello Stato - esigono da parte del giudice una mera verifica esteriore ed un controllo aritmetico (cfr. Cass. civ., sez. III, 11 giugno 1994, n. 5683; Cass. civ., sez. lav., 17 novembre 1993, n. 11350).
Se da un lato l' Inail ha diritto di ripetere la maggiore somma corrispondente al valore capitale attuale della rendita liquidata, incluse le maggiorazioni introdotte da norme successive, tuttavia tale diritto incontra il limite derivante dall'ammontare del risarcimento del danno dovuto ex art. 2043 cc (cfr Cass. sez. III, 18 aprile 1996, n. 3665).
Ebbene, nella fattispecie in esame l'Inail ha certificato (cfr. documentazione versata in atti unitamente alla comparsa conclusionale) di aver erogato, a seguito della costituzione di una rendita ex art. 13 D.Lgs. 38/00 in favore di R.C., prestazioni per un importo di euro 96.299,57 alla data del 1° marzo 2010.
Tale somma è, dunque, già indicata all'attualità e deve poi essere rivalutata dal 2.9.2001 (data di decorrenza della rendita) secondo le modalità esposte sub E).
Sulla base di tali parametri di calcolo alla data del 17.5.2010 (data di deposito della presente sentenza) la somma dovuta ammonta ad euro 119.884,09 come si evince dal seguente schema
Appare dunque, da un lato, evidente che non residua un danno patrimoniale liquidabile autonomamente in favore del Caccia posto che il danno in questione è interamente assorbito dalla pretesa dell'Inail e, dall'altro, che la domanda ex art. 1916 c.c. proposta dall'ente può trovare accoglimento limitatamente alla somma di euro 97.041,98.
G) Per quanto invece attiene alla posizione di M.R. l'Inail ha certificato (cfr. documentazione versata in atti) di aver erogato la somma di euro 1.589,21 per 46 giorni di invalidità temporanea parziale al 60%.
Tale somma costituendo un debito di valore va rivalutata all'attualità, risultando quindi pari ad euro 1.964,85, e sulla stessa vanno poi calcolati gli interessi al 3% sulla somma originaria (euro 1.589,21) di anno in anno rivalutata in base ai coefficienti ISTAT a far data dal 24.8.2001 (data di erogazione della somma da parte dell'Inail) fino alla data di pubblicazione della presente sentenza.
Dalla data di pubblicazione della sentenza sulla somma complessivamente determinata decorreranno gli interessi al saggio legale e fino all'effettivo soddisfo, in quanto dalla pronuncia della sentenza, con la trasformazione dell'obbligazione di valore in debito di valuta, sono dovuti gli ulteriori interessi al saggio legale (cfr. Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2007, n. 10884; Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1999, n. 13463).
H) Il comportamento processuale e preprocessuale delle parti, la particolarità della questione affrontata e le ragioni della decisione costituiscono giustificati motivi di compensazione delle spese di giudizio ex art. 92, comma 2, c.p.c. nel rapporto tra R.C., da un lato, e C.A. e la Augusta Assicurazioni s.p.a., ad eccezione delle spese di CTU - come liquidate con separato decreto emesso in corso di causa - che vanno definitivamente poste a carico dell'attore.
Le spese processuali nel rapporto tra l'Inail, da un lato, e C.A. e la Augusta Assicurazioni s.p.a., dall'altro, vanno regolate secondo il disposto dell'art. 91 e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Nola, II sezione civile, definitivamente pronunziando in ordine alle cause in epigrafe, così provvede:
- accerta la responsabilità esclusiva di C.A. nella causazione del sinistro stradale verificatosi in data data 11.4.2001 all'uscita del casello autostradale di Baiano, dir. Napoli;
- rigetta la domanda di risarcimento danni proposta da R.C. nei confronti di C.A. e della AUGUSTA ASSICURAZIONI S.P.A.;
- accoglie la domanda ex art. 1916 c.c. in relazione alla posizione di R.C. e, per l'effetto, condanna in solido C.A. e la AUGUSTA ASSICURAZIONI S.P.A. al pagamento in favore dell'INAIL della somma di euro 97.041,98 oltre interessi legali dalla presente pronuncia fino al soddisfo;
- accoglie la domanda ex art. 1916 c.c. in relazione alla posizione di M.R. e, per l'effetto, condanna in solido C.A. e la AUGUSTA ASSICURAZIONI S.P.A. al pagamento in favore dell'INAIL della somma di euro 1.964,85, oltre interessi al 3% sulla somma originaria (euro 1.589,21) di anno in anno rivalutata in base ai coefficienti ISTAT a far data dal 24.8.2001 fino alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonchè interessi legali dalla presente pronuncia fino all'effettivo soddisfo;
- compensa le spese di giudizio tra R.C., da un lato, e C.A. e la AUGUSTA ASSICURAZIONI S.P.A., dall'altro;
- condanna in solido C.A. e la AUGUSTA ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., a rimborsare all'INAIL le spese processuali sostenute, che liquida in complessivi euro 4.700,00, di cui euro 300,00 per spese, euro 1.900,00 per diritti ed euro 2.500,00 per onorari, oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e contr. Cassa Prev. Avv.;
- pone a definitivo carico di R.C. le spese di CTU nella misura liquidata con separato decreto in corso di causa.
Così deciso in Nola, 17 maggio 2010
Il Giudice
Dott.ssa Caterina Costabile