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Cass. pen. sez. IV, 5 febbraio 2010, n. 7691

Cass. pen. sez. IV, 5 febbraio 2010,  n. 7691

La sentenza si segnala in particolare per i seguenti enunciati:

… la delega di funzioni, spettanti e facenti carico al datore di lavoro, nei riguardi di terzi (ora disciplinata dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 16 come modificato dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, art. 12) non può ritenersi implicitamente presunta dalla ripartizione interna all’azienda dei compiti assegnati ai dipendenti o dalle dimensioni dell’impresa, (v. Cass. 6-2-2007 n. 12794; Cass. 29-1-2008 n. 8604, Cass. 10-12-2008 n. 4123/2009). Piuttosto, secondo la giurisprudenza elaborata all’epoca dell’accadimento in questione, deve rilevarsi che la delega eventualmente conferita dal datore di lavoro, in tema di attuazione e controllo del rispetto da parte dei dipendenti della normativa antinfortunistica, richiede una inequivoca e certa manifestazione di volontà anche dal punto di vista del contenuto con conferimento al delegato, persona esperta e competente, di poteri di organizzazione, gestione e controllo adeguati agli incombenti attribuiti, nonché autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate. Il che non risulta avvenuto nel caso di specie, tenuto conto pure che nello stabilimento di (OMISSIS) ove é avvenuto il fatto lavoravano un numero limitato di lavoratori (13 operai, 11 impiegati, 3 apprendisti)...

 

(OMISSIS)

FATTO

1.  Il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza in data 22-5-2007, a seguito di giudizio di opposizione a decreto penale di condanna, dichiarava M.G., quale Presidente e legale rappresentante della Marzorati S.P.A., e P.C., direttore di produzione della Società, colpevoli per il reato di lesioni colpose gravi nei confronti del dipendente V.M. perpetrato in relazione ad infortunio sul lavoro. Il Tribunale condannava gli imputati alla pena di mesi uno di reclusione ciascuno, sostituita con la pena pecuniaria di Euro 1.140 di multa, (fatto del (OMISSIS)).

2.  In punto di fatto, secondo la ricostruzione effettuata dal Giudice di primo grado, era avvenuto che V.M. (operaio con mansioni di manutenzione attrezzista) stava lavorando alla realizzazione di un componente di ventilatore allorché il responsabile del reparto ( Vo.Ro.) gli aveva fatto presente che vi erano due pezzi di ventilatore che non entravano nel mozzo e dovevano essere ridotti nel diametro. Il V. aveva portato il “pezzo” presso il tornio presente nel suo reparto; nel corso della lavorazione, il guanto e la manica del braccio sinistro dell’operaio erano rimasti impigliati nel meccanismo roteante dello strumento e così il predetto aveva subito lesioni gravi.

Risultava accertato che il tornio era formalmente fuori uso e che talora su di esso era collocato un cartello rosso con la scritta di divieto di utilizzazione; peraltro, il macchinario era stabilmente collegato con l’alimentazione elettrica e sia pure saltuariamente veniva utilizzato dai dipendenti. Inoltre, i funzionar della ASL, intervenuti in loco a seguito dell’incidente, avevano constatato che lo strumento era obsoleto e mancante dei requisiti minimi di protezione, quali uno schermo la cui eventuale rimozione determinasse l’arresto dell’ingranaggio ovvero il pulsante di arresto in situazione di emergenza, nonché i comandi che azionavano il movimento del mandrino erano a leva ma non protetti e,quindi, attivabili anche accidentalmente. Risultava pure che l’azienda non aveva incluso il macchinario nell’elenco di quelli indicati nel documento di valutazione dei rischi.

3.  Responsabili dell’occorso, a giudizio del Tribunale, dovevano ritenersi essere appunto M.G., legale rappresentante della Società e datore di lavoro del dipendente infortunato, e P.C., direttore di produzione: costoro avevano consentito che un tornio, carente dei necessari requisiti di sicurezza, rimanesse collocato in officina, stabilmente collegato con l’energia elettrica, a disposizione di chi volesse utilizzarlo, non essendo sicuramente sufficiente l’apposizione del cartello di divieto, facilmente rimuovibile, ad evitarne il pericoloso impiego.

4.  Gli imputati proponevano impugnazione con appello.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 27-11-2008, confermava la decisione di primo grado.

Osservava che appariva irrilevante, ai fini dell’individuazione della responsabilità dei prevenuti, il comportamento tenuto dal lavoratore infortunato che aveva dato occasione all’evento: difatti, l’accadimento doveva comunque ricondursi alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio della condotta avventata indicata.

Aggiungeva che non ricorrevano le condizioni per procedere alla richiesta rinnovazione istruttoria, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., al fine di acquisire la documentazione comprovante la sussistenza di delega per la sicurezza a soggetti diversi dal prevenuto M. G.. Al riguardo, l’eventuale produzione documentale risultava tardiva e, in ogni modo, la documentazione allegata all’atto di appello si presentava carente. Piuttosto, ad avviso della Corte di merito, non ricorrevano elementi idonei ad escludere che fosse rimasto appunto a carico del datore di lavoro l’obbligo di controllo e vigilanza sull’applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza.

5.  M.G. avanzava ricorso per cassazione.

Si doleva, innanzitutto, per la mancanza di adeguata prova attestante che esso ricorrente fosse l’effettivo destinatario degli obblighi in materia di sicurezza all’interno dell’azienda, che ricorressero effettive violazioni di norme sulla sicurezza nel ciclo produttivo aziendale, che da parte dell’imputato fosse prevedibile in concreto l’esistenza di una situazione a rischio che imponesse l’adozione di particolari misure.

Censurava l’individuazione di esso istante quale datore di lavoro della parte offesa, poiché egli svolgeva solo attività amministrativa, mentre le funzioni operative erano state delegate ad altri soggetti: in particolare, vi era un responsabile per lo stabilimento di (OMISSIS) ed altro per lo stabilimento di (OMISSIS) dove era avvenuto il fatto, ed altresì erano stati incaricati quali responsabili della sicurezza M.G. e M. M..

Affermava che non vi era prova che egli fosse stato quantomeno a conoscenza, della presenza nello stabilimento di (OMISSIS) di un macchinario pericoloso, richiedente l’adozione di misure di prevenzione.

Si doleva per la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

Si doleva per la mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Censurava la mancata applicazione dell’indulto ex art. 174 c.p..

Contestava ancora l’irrogazione della pena detentiva, sia pure sostituita con pena pecuniaria L. n. 689 del 1981, ex art. 53, dovendosi, eventualmente, nel caso di specie applicarsi direttamente la pena alternativa della multa.

Chiedeva l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

6.  Il ricorso deve essere respinto perché infondato.

Giova osservare che la Corte di Appello ha correttamente argomentato in fatto, sulla base dei dati obbiettivi della vicenda acquisiti e con riferimento alla normativa in tema di sicurezza nei posti di lavoro, circa la riscontrata colpevolezza di M.G., legale rappresentante della Società omonima, presso cui era dipendente la parte offesa.

Invero, a carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al D.P.R. n. 547 del 1955 e di quella generale in materia di sicurezza aziendale (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4) ed anche in riferimento alla norma cd. “di chiusura del sistema” ex art. 2087 c.c., sussiste un obbligo di controllo dell’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza.

In altre parole, il datore di lavoro é costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 c.p.p., comma 2.

Né tali obblighi di vigilanza e controllo del datore di lavoro, di per sé delegabili ad altro responsabile, vengono meno con la nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione al quale sono demandati compiti diversi (v. D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 8 e 9) intesi ad individuare i fattori a rischio, ad elaborare le misure preventive e protettive, le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali. Per contro, la vigilanza sull’applicazione delle misure disposte e sull’osservanza di queste da parte dei lavoratori rimane a carico del datore di lavoro, se non ritualmente delegate ad altri soggetti, (v. Cass. 10-11-2005 n. 47363; Cass. 23-4-2008 n. 25288; Cass. 20-5-2008 n. 27420).

Sotto altro profilo, deve osservarsi che la delega di funzioni, spettanti e facenti carico al datore di lavoro, nei riguardi di terzi (ora disciplinata dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 16 come modificato dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, art. 12) non può ritenersi implicitamente presunta dalla ripartizione interna all’azienda dei compiti assegnati ai dipendenti o dalle dimensioni dell’impresa, (v. Cass. 6-2-2007 n. 12794; Cass. 29-1-2008 n. 8604, Cass. 10-12-2008 n. 4123/2009). Piuttosto, secondo la giurisprudenza elaborata all’epoca dell’accadimento in questione, deve rilevarsi che la delega eventualmente conferita dal datore di lavoro, in tema di attuazione e controllo del rispetto da parte dei dipendenti della normativa antinfortunistica, richiede una inequivoca e certa manifestazione di volontà anche dal punto di vista del contenuto con conferimento al delegato, persona esperta e competente, di poteri di organizzazione, gestione e controllo adeguati agli incombenti attribuiti, nonché autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate. Il che non risulta avvenuto nel caso di specie, tenuto conto pure che nello stabilimento di (OMISSIS) ove é avvenuto il fatto lavoravano un numero limitato di lavoratori (13 operai, 11 impiegati, 3 apprendisti).

7.  In ordine ai motivi di doglianza, ulteriori rispetto al merito della vicenda, formulati dal ricorrente, va detto che correttamente la Corte di Appello non ha disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ex art. 603 c.p.p., non ricorrendo alcuna delle tassative condizioni richieste.

Altresì, non risulta alcuna doglianza, nei motivi di appello, concernente il mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, per cui sul punto evidentemente e correttamente il Collegio di Appello non ha dedotto alcunché. Si aggiunge che il beneficio dell’indulto può essere riconosciuto in sede di esecuzione, alla luce di una più adeguata valutazione della ricorrenza delle condizioni richieste, (v. Cass. 16-4-2008- Inghilterra-).

Patimenti, correttamente determinata e giustificata dai Giudici di primo e secondo grado si palesa la scelta della pena detentiva, convertita in pena pecuniaria.

8.  Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione 4^ Sezione Penale rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 5 febbraio 2010. Deposito 25 febbraio 2010