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Cass. pen. sez. IV, 9 luglio 2008, n. 37997

Cass. pen. sez. IV, 9 luglio 2008, n. 37997

La sentenza si segnala in particolare per i seguenti enunciati:

… la eventuale presenza di un capo cantiere non esime da responsabilità per l’osservanza delle norme antinfortunistiche il direttore tecnico, essendo ormai giurisprudenza costante che “in materia di infortuni sul lavoro, il direttore tecnico e il “capo cantiere” sono titolari di autonome posizioni di garanzia in quanto egualmente destinatali, seppure a distinti livelli di responsabilità, dell’obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. Ne consegue che la nomina di un “capo cantiere” non implica di per sé il trasferimento a quest’ultimo della sfera di responsabilità propria del direttore tecnico”  (Cass. sez. 4^, 28.6.2007 n. 39606 riv. 237878; conformi Cass. sez. 4^, 1.4.2004 n. 24055 riv. 228587; Cass. sez. 4^, 27.2.1998 n. 3602 riv. 210641) ...

… la giurisprudenza costante di legittimità ha ritenuto che “in tema di infortuni sul lavoro l’esistenza sul cantiere di un preposto - salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, e di una sua particolare competenza - non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico (peraltro, neppure in maniera esclusiva quando l’impresa sia di dimensioni molto modeste) soltanto il dovere di vigilare e che i lavoratori osservino le misure e usino i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione, comportandosi in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri” (Cass. 27.2.1998 n. 3602; conformi Cass. n. 24055/2004; Cass. n. 523/1997; Cass. n. 9592/1991; Cass. n. 7999/1988; Cass. n. 6831/1988) …

(OMISSIS)

FATTO

Con sentenza in data 23.11.2006 la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui C.M. e I.L. erano stati dichiarati colpevoli del delitto di omicidio colposo (art. 589 c.p.) in persona di D.P., fatto verificatosi il (OMISSIS), e, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti, condannati alla pena ritenuta di giustizia.

La Corte ha invece prosciolto gli imputati dalle contravvenzioni di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 e art. 89, comma 2, lett. b) e d) e di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 10 e 389 perché estinte per prescrizione.

Infine, la Corte territoriale ha condannato gli imputati in solido al pagamento delle spese sostenute dalle costituite parti civili.

L’evento letale era derivato dalla caduta nel vuoto, da notevole altezza dal suolo, del D. dal pozzo di luce ubicato sul terrazzo del cubo 14/C del dipartimento di chimica dell’UNICAL, essendo il D. inciampato, mentre camminava a ritroso, sullo zoccolo posto intorno al vano, privo di protezione.

Non essendovi nei proposti ricorsi per cassazione contestazioni sulla dinamica del sinistro, ma esclusivamente censure in ordine alla ritenute posizioni di garanzia del C. e dello I., e sulla loro responsabilità personale, va esaminato come sia stata motivata la sentenza di appello su tali specifici motivi di impugnazione.

Il C. era direttore tecnico dell’impresa Mario Crea s.r.l., responsabile della costruzione dei lavori di collegamento elettrico degli estrattori d’aria presenti sul terrazzo del cubo n. 14/C. Va premesso che tra la Università della Calabria e la Bo.Go.Ge.

s.p.a. era stato stipulato in data 21.7.1986 un contratto relativo alla realizzazione degli edifici del 5^ lotto del completamento della Nuova sede della predetta università.

Tra la Bo.Go.Ge. s.p.a. e la Mario Crea s.r.l. era stato stipulato altro contratto per la fornitura in opera di tutti i materiali ed apparecchiature occorrenti per la realizzazione degli impianti elettrici, telefonici e speciali relativi ad alcuni edifici tra cui figura quello da cui era precipitato il D., dipendente della Mario Crea s.r.l..

La Corte di merito ha ritenuto che la delega rilasciata dal C. allo I., pur indubbiamente esistente, come da dichiarazione scritta del 10.10.1998, ed accettata dallo I., costituiva solo una mera indicazione nominativa del responsabile nei confronti dell’appaltante, in ottemperanza all’obbligo contrattuale assunto, ma non indicava quali poteri fossero stati delegati al designato.

Inoltre, essendo lo I. un elettricista di quinto livello, non aveva le cognizioni tecniche connesse alla tutela dei lavoratori esposti ai rischi relativi all’uso dell’energia elettrica.

Nella sentenza di appello é poi precisato che non risulta alcuna ragione di carattere tecnico per la delega di responsabilità, essendo peraltro precisato nel piano di sicurezza, al punto 13.1 che “per consentire la realizzazione dell’opera nelle condizioni di massima sicurezza possibile, saranno predisposti, a discrezione del Direttore Tecnico di cantiere per alcune operazioni da eseguire, appositi piani di sicurezza particolareggiati”.

La Corte di merito ha poi disatteso la tesi difensiva secondo la quale direttore tecnico di cantiere era l’ing. Co.Sa.

e non l’imputato C.M., essendo il primo direttore di cantiere e responsabile per la sicurezza della società appaltante Bo.Go.Ge.

s.p.a., come si evince dal testo delle norme di sicurezza per ditte esterne, diretto dalla società appaltante a quella appaltatrice.

Nella motivazione della sentenza impugnata é poi contenuta una valutazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, precisandosi che le eventuali corresponsabilità dell’appaltante e del lavoratore non escludono quella del datore di lavoro, la cui posizione ha particolare rilievo per la tutela dell’incolumità fisica dei propri dipendenti, tanto più che la predisposizione di parapetti da installarsi in corrispondenza delle aperture verso il vuoto situate ad un’altezza maggiore o uguale a due metri, oltre ad essere normativamente prevista dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 10, era stata anche indicata nel paragrafo 8.2.2 del Piano di sicurezza predisposto dalla Mario Crea s.r.l..

La responsabilità dell’altro imputato, I.L., é stata ritenuta per la sua qualifica di capo cantiere, ed essendo previsto al paragrafo 8.2.2 del piano di sicurezza che il capo cantiere doveva apprestare i mezzi di sicurezza stabiliti dalla società e necessari per la realizzazione dell’opera, tra cui gli indicati parapetti in corrispondenza di aperture verso il vuoto situate ad un’altezza maggiore od uguale a due metri di altezza.

Non avendo adempiuto lo I. ad alcuno dei citati compiti, stante la totale assenza di misure di protezione, é stata confermata la declaratoria di responsabilità sussistendo il nesso di causalità tra l’omissione e l’evento letale.

Avverso la succitata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento, entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.

Il C. ha eccepito l’erronea applicazione delle legge penale, e in particolare:

a) del D.P.R. n. 34 del 2000, art. 26 secondo la quale al direttore tecnico competono adempimenti di natura tecnico-organizzativa;

b) della L. n. 55 del 1990, art. 18, comma 8, secondo il quale la società affidataria era tenuta a curare il coordinamento di tutte le imprese, a mezzo del direttore tecnico di cantiere, da individuare nella persona dell’ing. Co.Sa., come già precisato, indicato dalla Bo.Go.Ge. s.p.a.;

c)  del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 che devolve alla società appaltante, e quindi all’ing. Co., l’obbligo di fornire dettagliate informazioni alle società appaltatrici sui rischi esistenti nell’ambiente dove vengono espletate le opere, e sulle misure di emergenza e di prevenzione adottate in relazione alla propria attività;

d) per non essere stato dato rilievo, in base alla normativa all’epoca applicabile, alla delega di capo cantiere e responsabile per la sicurezza al coimputato I., che possedeva attitudini e capacità adeguate.

Il ricorrente ha poi eccepito la mancanza di motivazione sulla circostanza che il C. non era in grado di seguire la totalità dei cantieri per la struttura aziendale e il numero degli appalti assunti dall’impresa, essendovi tra l’altro un direttore tecnico di cantiere della società appaltante, ed un operaio di livello superiore rispetto alla vittima.

Inoltre, la condotta omissiva dello I., e cioé il non avere eseguito un sopralluogo sul sito dei lavori, avrebbe quanto meno interrotto il nesso di causalità.

I.L. ha dedotto la nullità della sentenza per difetto di motivazione.

Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per avergli attribuito la qualifica di preposto, e cioé di colui che, all’interno dell’organizzazione aziendale, sovrintende alle attività di un determinato gruppo di lavoratori, là dove é pacifica l’assenza di tale posizione di supremazia.

La sentenza é poi contraddittoria per avere riconosciuto la non operatività delle delega in materia di sicurezza in ossequio al principio di effettività, precisandosi altresì che lo I. non aveva le competenze tecniche e intellettuali necessarie per lo svolgimento della funzione di responsabile della sicurezza dei lavoratori.

Irrilevanti sono state poi ritenute le dichiarazioni del coimputato C.M. per sostenere che lo I. fosse un preposto, dichiarazioni che non hanno trovato riscontro alcuno.

DIRITTO

I ricorsi sono infondati e vanno rigettati.

Sostanzialmente entrambi i ricorsi sono fondati esclusivamente sull’argomento dell’assenza di una posizione di garanzia, non contestandosi la mancata osservanza sia di specifiche norme riguardanti la sicurezza sul lavoro (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 10; D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 e art. 89, comma 2, lett. b) e d).

Il ricorrente C. ha, in primo luogo, sostenuto che, essendo il direttore tecnico dell’impresa appaltatrice dei lavori elettrici, non incombevano a lui obblighi di preservare i dipendenti da eventuali pericoli per la loro incolumità; in secondo luogo, che vi erano altri preposti responsabili, e cioè il direttore tecnico di cantiere dell’impresa appaltante, ing. Co., e il coimputato I., operaio di livello superiore, addetto anche al controllo dell’osservanza delle norme antinfortunistiche.

Va, in primo luogo, rilevato che la eventuale presenza di un capo cantiere non esime da responsabilità per l’osservanza delle norme antinfortunistiche il direttore tecnico, essendo ormai giurisprudenza costante che “in materia di infortuni sul lavoro, il direttore tecnico e il “capo cantiere” sono titolari di autonome posizioni di garanzia in quanto egualmente destinatali, seppure a distinti livelli di responsabilità, dell’obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. Ne consegue che la nomina di un “capo cantiere” non implica di per sé il trasferimento a quest’ultimo della sfera di responsabilità propria del direttore tecnico”  (Cass. sez. 4^, 28.6.2007 n. 39606 riv. 237878; conformi Cass. sez. 4^, 1.4.2004 n. 24055 riv. 228587; Cass. sez. 4^, 27.2.1998 n. 3602 riv. 210641).

La posizione poi comune per il C. di datore di lavoro della vittima D. e di direttore tecnico consente di individuare addirittura una plurima posizione di garanzia, a nulla rilevando, come espressamente precisato nella sentenza impugnata, la contemporanea presenza di due capi cantiere, uno (ing. Co.) per conto della società appaltante e quindi con posizione diversa da quella attinente ai dipendenti della ditta appaltatrice, e l’altro ( I.), corresponsabile, come sarà precisato in seguito, ma non titolare di una delega idonea ad escludere la responsabilità del C..

Su tale secondo argomento va ricordato che la giurisprudenza costante di legittimità ha ritenuto che “in tema di infortuni sul lavoro l’esistenza sul cantiere di un preposto - salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, e di una sua particolare competenza - non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico (peraltro, neppure in maniera esclusiva quando l’impresa sia di dimensioni molto modeste) soltanto il dovere di vigilare e che i lavoratori osservino le misure e usino i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione, comportandosi in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri” (Cass. 27.2.1998 n. 3602; conformi Cass. n. 24055/2004; Cass. n. 523/1997; Cass. n. 9592/1991; Cass. n. 7999/1988; Cass. n. 6831/1988).

Nella sentenza impugnata é stata presa in considerazione la delega rilasciata dal C. allo I. in data 10.10.1998, ed é stato rilevato che l’atto, sottoscritto anche dal coimputato, costituisce solo una mera indicazione nominativa del responsabile nei confronti dell’appaltante, in ottemperanza all’obbligo contrattuale assunto, ma non indicava quali poteri fossero stati delegati al designato.

Trattasi di interpretazione di merito del contenuto di un documento assunto come prova, e, come tale, non sindacabile in sede di legittimità, ma va comunque sottolineato che la estrema precisione della affermazione nella sentenza impugnata e la assenza di argomenti indicati a sostegno dei motivi di ricorso (in pratica per la delega allo I. tali motivi si esauriscono nella circostanza non provata del gran numero di cantieri che il C. avrebbe dovuto seguire, e circostanza comunque sicuramente non risultante dall’atto del 10.10.1998) induce questo Collegio a ritenere adeguata e logica la motivazione della sentenza gravata.

Anche il ricorso dello I. é infondato.

Come già precisato, la giurisprudenza costante di legittimità ha ritenuto che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tra i destinatari degli obblighi dettati dal D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, art. 4 devono annoverarsi anche il direttore tecnico e il “capo cantiere”, figure inquadrabili nei modelli legali, rispettivamente del dirigente e del preposto (in particolare Cass. sez. 4^, 28.6.2007 n. 39606 riv. 237879).

Il ricorrente, con unico motivo di impugnazione, ha sostenuto di non avere ricoperto alcun incarico di preposto e ha dedotto la mancanza di motivazione sul punto (art. 606 c.p.p., lett. e).

La sentenza impugnata é invece esauriente e logica nello spiegare che il ricorrente, quale capo cantiere, doveva ottemperare a compiti esecutivi e di sorveglianza, essendo previsto al par. 8.2.2 del piano di sicurezza che il capo cantiere doveva apprestare i mezzi di sicurezza stabiliti dalla società e necessari per la realizzazione dell’opera, tra cui gli indicati parapetti in corrispondenza di aperture verso il vuoto situate ad un’altezza maggiore od uguale a due metri di altezza.

Il difensore dello I., anche all’odierna discussione in pubblica udienza, ha assunto che il ricorrente era un semplice operaio, senza alcun particolare incarico, e che la sentenza impugnata non ha motivato su tale decisiva questione, ma ci é in palese contrasto con la sottoscrizione da parte dello I. dell’atto in data 10.10.1998, il quale, pur non contenendo una delega espressa e specifica in ordine alla tutela della sicurezza sul lavoro, reca la testuale dicitura “il responsabile del cantiere e della sicurezza dei lavori per i lavori degli impianti in oggetto é il sig. I.L.” (pag. 5 della sentenza di appello).

E’ pertanto destituito di fondamento il ricorso, basato sulla assenza di consapevolezza della qualifica di “capo cantiere” e sulla assenza di motivazione del provvedimento impugnato.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna in solido dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali (art. 616 c.p.p.).

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Roma, 9.7.2008. Deposito 3.10.2008