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Cassazione civile sez. un. 18 parile 2002 n. 5559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo CARBONE -Primo Presidente f.f.-
Dott. Rafaele CORONA -Presidente di sezione-
Dott. Giovanni PRESTIPINO -Consigliere-
Dott. Erminio RAVAGNANI -Rel. Consigliere-
Dott. Alessandro CRISCUOLO -Consigliere-
Dott. Vincenzo PROTO -Consigliere-
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI -Consigliere-
Dott. Mario Rosario MORELLI -Consigliere-
Dott. Giulio GRAZIADEI -Consigliere-

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

GRAZIOSI GIACINTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio dell'avvocato CARMINE CIOFANI, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

-ricorrente-

contro

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

-intimati-

nonché contro a seguito di ordinanza dibattimentale di integrazione del contraddittorio in data 1 dicembre 2000 nei confronti di CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA;

e sul 2 ricorso n 01-01-0263 proposto da:

FONDAZIONE ENPAM, (ENTE NAZIONALE PREVIDENZA ED ASSISTENZA MEDICI ED ODONTOIATRI), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 10, presso lo studio dell'avvocato SALVATORE PICCIONE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

-ricorrente-

contro

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA, GRAZIOSI GIACINTA,

-intimati-

nonché contro

a seguito di ordinanza dibattimentale di integrazione del contraddittorio in data 4 maggio 2001 nei confronti di PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

-intimato-

avverso la decisione n. 201-99 del Consiglio nazionale forense di ROMA, depositata il 04-11-99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21-02-02 dal Consigliere Dott. Erminio RAVAGNANI;

uditi gli Avvocati Stefano NOTARMUZI, per delega dell'avvocato Carmine CIOFANI, Salvatore PICCIONE;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Domenico IANNELLI che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

Svolgimento del processo

Con ricorso in data 29 gennaio 1999, l'avv. Giacinta Graziosi, funzionario dell'Ente Nazionale Previdenza ed Assistenza Medici e odontoiatri (ENPAM), impugnava la delibera del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma in data 17 dicembre 1998, notificata il 13 gennaio 1999, con la quale era stata respinta la sua domanda d'iscrizione nell'elenco speciale annesso all'albo professionale.

Nel giudizio interveniva l'ente predetto.

Il Consiglio Nazionale Forense rigettava il ricorso, osservando quanto segue.

La ratio della deroga al regime d'incompatibilità, di cui all'art.

3, ultimo comma lett. b) della legge professionale, va individuata nell'esigenza di tutelare l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati nella difesa degli interessi del cliente. Tale libertà è ravvisabile nel rapporto di pubblico impiego ma non in quello di specie, di natura indubbiamente privatistica, giacché l'ENPAM è ente sicuramente privato, come definito dal D.Lgs n. 509 del 1994, recante norme per la trasformazione degli enti pubblici in persone giuridiche private.

Quanto all'efficacia del provvedimento del Consiglio dell'ordine di Roma, non se ne può negare la sussistenza per il mancato rispetto del termine di notificazione, trattandosi di termine ordinatorio.

Avverso questa decisione la Graziosi ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura.

L'ENPAM ha presentato ricorso autonomo "contro" il Consiglio Nazionale Forense, contro il Consiglio dell'ordine e nei confronti della Graziosi.

Entrambi i ricorrenti hanno presentato memorie.

Diritto

Motivi della decisione

I ricorsi debbono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc.

civ., essendo proposti avverso la medesima sentenza.

Con il primo motivo, la ricorrente, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 3 legge 27 novembre 1933 n. 1578 e della legge c.d. Amato, n. 218 del 1990, lamenta che il Consiglio Nazionale non abbia considerato che l'ENPAM ha assunto personalità giuridica di diritto privato solo col decreto ministeriale pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 12 dicembre 1995 e che anche dopo tale data detto ente ha continuato a svolgere funzioni di natura prevalentemente pubblicistica nel campo della protezione sociale. In ogni caso, presso l'ente era stato costituito un ufficio legale composto in conformità della legge n. 70 del 1975 per garantire la sua piena autonomia necessaria per l'esercizio della professione legale. D'altra parte la ricorrente, anche se, per l'impossibilità da parte dell'ENPAM di bandire concorsi, non era stata iscritta all'albo, svolgeva tuttavia mansioni di carattere professionale, sicché si trovava, in ordine alla futura iscrizione all'albo speciale, nell'aspettativa tutelata dalla legge n. 218 del 1990, che fa salvi non solo i diritti quesiti, ma anche gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dall'originaria natura pubblicistica dell'ente.

Con il secondo motivo, deducendo vizi della motivazione, la ricorrente assume che sia assiomatica l'affermazione del Consiglio Nazionale in ordine alla natura ordinatoria del termine di notificazione del provvedimento impugnato davanti a tale organo.

Con il ricorso dell'ENPAM sono svolte argomentazioni analoghe a quelle contenute nel primo motivo dell'altro ricorso, peraltro dopo ampia premessa in ordine all'ammissibilità dell'intervento adesivo davanti al Consiglio Nazionale Forense, che ha dato atto della presenza dell'avvocato dell'ente, ma non si è pronunciato su detta ammissibilità, cui si era opposto in udienza il Pubblico Ministero.

Orbene, la decisione del Consiglio Nazionale Forense è esente dai vizi denunciati dalla ricorrente.

Premesso che, a tenore dell'art. 56 della legge sull'ordinamento della professione forense n. 1578 del 1933, nonché per l'art. 111 della Costituzione, le decisioni del predetto organo, aventi carattere di provvedimenti giurisdizionali, sono soggette a ricorso davanti alle Sezioni Unite per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nella quale ultima ipotesi sono comprese le violazioni delle norme in procedendo, va subito rilevato che il secondo motivo, da esaminare in via preliminare siccome attinente alla regolarità del processo, sia pure prospettato con inesatto riferimento a vizi della motivazione, è manifestamente infondato, poiché risulta giuridicamente corretta l'affermazione che il termine di notificazione del provvedimento del Consiglio dell'ordine è ordinatorio, trattandosi, invero, di termine non previsto a pena di nullità (v., in generale, Cass. SU 7 dicembre 1999 n. 869; 6 agosto 1992 n. 9324; 14 febbraio 1987 n. 1610).

Quanto poi al primo motivo, devesi ritenere decisivo l'accertamento in fatto compiuto dal Consiglio Nazionale, incensurabile in questa sede in considerazione dei rilevati limiti del ricorso a queste Sezioni Unite in materia, secondo cui non è stata data la prova nè che esistesse nell'ente un ufficio legale costituente un'unità organica autonoma, nè che gli addetti al così chiamato "ramo professionale legale" esercitassero con libertà ed autonomia le loro funzioni di competenza, con sostanziale estraneità dall'apparato amministrativo, in posizione d'indipendenza da tutti i settori previsti in organico e con esclusione di ogni attività di gestione.

L'infondatezza del motivo in esame emerge dunque dalla mancanza, assorbente di ogni altra questione, del presupposto sul quale esso si basa, l'esistenza cioè di un ufficio legale, atteso che, da un alto, la ratio della deroga al regime d'incompatibilità, di cui all'art.

3, ultimo comma lett. b), della legge professionale forense va individuata nell'esigenza di tutelare l'indipendenza della professione e l'autonomia di giudizio e d'iniziativa degli avvocati nella difesa e nel patrocinio degli interessi dei clienti, e, d'altro lato, tale libertà sussiste nel rapporto di lavoro subordinato del professionista con un ente pubblico in quanto la sua attività possa essere esplicata in un autonomo e ben distinto ufficio legale dell'ente medesimo.

D'altra parte, proprio per l'insussistenza di un ufficio legale in senso stretto non può trovare tutela l'aspettativa della dottoressa Graziosi in ordine all'iscrizione all'albo speciale successivamente alla trasformazione dell'ente pubblico ENPAM in ente privato, avvenuta nel dicembre 1995, essendo consequenziale l'inoperatività della sanatoria già prevista per gli enti di credito dall'art. 3 della legge n. 218 del 30 luglio 1990 (v. Cass. SU 12 giugno 1997 n.

5301), e successivamente estesa agli altri enti pubblici (DL 21 giugno 1993 n. 198, legge 9 agosto 1993 n. 292 e art. 18 DL 11 luglio 1992 n. 333, legge 8 agosto 1993 n. 359), nè potendosi ritenere influente al riguardo l'invocata disciplina comunitaria di cui all'art. 5 della legge 9 febbraio 19982 n. 31, da intendere come relativa agli avvocati legati da un contratto di lavoro ad un ente comunque corrispondente, giusta il richiamo contenuto in detto articolo cinque, a quelli indicati nell'art. 3, ultimo comma lett. b) della legge professionale.

Il ricorso della Graziosi deve dunque essere rigettato.

Il ricorso proposto dall'ENPAM deve invece essere dichiarato inammissibile, conformemente alle richieste del Procuratore generale in udienza.

Deve, infatti, escludersi la configurabilità del preteso interesse legittimo del datore di lavoro ad una decisione in materia, favorevole al dipendente aspirante all'iscrizione nell'albo speciale, essendo quest'ultima attinente ad un rapporto esclusivo intercorrente tra l'Ordine forense e l'aspirante all'iscrizione medesima, rispetto al quale rapporto l'interesse dell'Ente alla rivendicata posizione giuridica del dipendente ed ai conseguenti riflessi sulla struttura e funzionalità dei propri uffici è un interesse semplice, assolutamente marginale, del tutto estraneo alla speciale disciplina propria della professione legale.

In assenza di controparti, nulla devesi disporre in ordine alle spese giudiziali.

P.Q.M.

p.q.m.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il principale e dichiara inammissibile l'incidentale. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2002.