FLEPAR Inail formula proposte operative per una PA a servizio di cittadini ed imprese, a sostegno del mondo impresa-lavoro e delle PMI. Sviluppa le competenze interdisciplinari dei professionisti pubblici per riforme: PA, sicurezza sul lavoro, giustizia, legalità, prevenzione della corruzione.

Ad attività sindacale FLEPAR affianca una intensa attività propositiva e di studio, fornendo contributi in materie strettamente correlate ai compiti istituzionali Inail: si pone come un laboratorio di idee e progetti caratterizzato da un approccio concreto, frutto dell'esperienza diretta sul campo.

Associazione apolitica e senza scopo di lucro, con carattere sindacale, col fine di tutelare interessi giuridici, economici, e funzione, professionalità, dignità e autonomia dei Professionisti Inail.
Interlocutore sindacale dell'Amministrazione, siede con piena legittimazione a tutti i tavoli sindacali.

Nel corso della storia di FLEPAR Inail abbiamo compreso che non sempre è sufficiente avere una buona idea, svilupparla e proporla nelle giuste sedi ma è altrettanto importante la modalità con la quale questa iniziativa viene veicolata e comunicata. Ci siamo resi conto che una comunicazione adeguata e moderna costituisce un valore aggiunto.

Intervento dell’Avv. INAIL Salvatore Pellegrino al convegno “La salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: diritti ed obblighi alla luce del d. lgs. n. 81/2008”

Intervento dell’Avv. INAIL Salvatore Pellegrino al convegno “La salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: diritti ed obblighi alla luce del d. lgs. n. 81/2008” organizzato dalla F.LE.PAR. ASSOCIAZIONE AVVOCATI INAIL, unitamente al C.N.F., in Roma, il 7 luglio 2010 (*)

La prevenzione e la tutela dei diritti: una questione di organizzazione?

Roma, 7 luglio 2010

L’altra domenica, mentre passeggiavamo nel giardino dei nonni, mia figlia Francesca ha visto un formicaio e subito è partita la fatidica domanda (tipica per una bambina di nove anni che crede - ahimè ancora per poco - che il papà sappia di tutto e di più): “ Papà come vivono le formiche, cosa mangiano, dove dormono?” Orami sono abituato, come immagino tutti i genitori presenti, a questo genere di interrogatori benevoli (avete presente davanti alla TV quando nominano l’Armenia e vostro figlio vi chiede quale ne sia la capitale?).

Comunque, facendo ricorso alle mie pur scarse conoscenze in materia di insetti e al ricordo della favola di Esopo - ricordate la formica e la cicala – le ho detto che le formiche vivono in comunità di migliaia di individui, si suddividono in formiche operaio e formiche soldato e che tutte collaborano per la sopravvivenza del formicaio, lavorano come se fossero una sola formica; nel frattempo, mia figlia, già annoiatasi, aveva visto una farfalla, mi ha così interrotto e la storia è ricominciata.

L’episodio ed in particolare l’affermazione vivono come se fossero una formica sola, quasi per caso mi è rivenuto in mente quando rileggendo il testo del titolo del mio intervento mi sono chiesto: Un’organizzazione dove vi è una precisa suddivisione dei ruoli e delle responsabilità, dove vi è un preciso obiettivo comune e tutti lavorano per il suo raggiungimento, è una organizzazione che garantisce la tutela dei diritti degli individui? Senz’altro sì ed allora verifichiamo se ed in che termini la normativa succedutasi negli anni abbia teso e tenda oggi a realizzare un’organizzazione di tal fatta nei luoghi di lavoro.

Senza voler andare troppo indietro nel tempo, il testo cui fare inizialmente riferimento è il decreto legislativo n. 626 del 1994 grazie al quale - come si legge in una pubblicazione Inail di preparazione dei docenti ai corsi di formazione per responsabili del servizio di prevenzione e protezione - “la materia prevenzionale, rispetto alla normativa degli anni ’50, non è più statica, ma dinamica, legata all’evoluzione della tecnologia e dei modi di produzione dei beni e dei servizi ed idonea a consentire un pronto aggiornamento delle misure di sicurezza.

Si realizza il passaggio da un modello di protezione oggettiva (finalizzato a garantire un ambiente di lavoro tecnologicamente sicuro) ad un modello di sicurezza basato essenzialmente su “comportamenti operativi dei lavoratori soggettivamente sicuri”.

Un passaggio la cui importanza appare evidente solo che si considerino i cambiamenti nel mondo del lavoro  - appena accennati negli ‘90 ed oggi in pieno svolgimento - quali la femminilizzazione, la diffusione di lavori cosiddetti atipici, il lavoro degli immigrati e l’invecchiamento della popolazione attiva.

Il decreto legislativo n. 626/94 ha elevato l’organizzazione della sicurezza a livello di “sistema della sicurezza” composto da una molteplicità di attori: oltre a datore di lavoro, in primis, i dirigenti, i preposti, i progettisti, i fabbricanti, i costruttori, gli installatori, il responsabile e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione, gli addetti all’emergenza  (antincendio- primo soccorso), il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente - qualora sia previsto l’obbligo di sorveglianza sanitaria - ed i lavoratori; questi ultimi non considerati più come meri creditori di sicurezza bensì come effettivi protagonisti del sistema tanto da essere chiamati a partecipare, attraverso la prevista consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, sin dalla fase della stesura del documento di valutazione dei rischi. 

Il sistema, così disegnato, presentava tuttavia dei punti di caduta riconducibili, in parte, proprio alla molteplicità degli attori protagonisti e, dunque, al loro modo di relazionarsi ed, in parte, alla configurazione di una sorta di responsabilità oggettiva in capo al datore di lavoro per tutte o quasi le violazioni della normativa antinfortunistica sulla scorta dell’assunto che essendo l’artefice dell’organizzazione, nonché principale beneficiario della stessa, ogni violazione possa essere ricondotta ad un suo comportamento omissivo. 

In tale contesto è poi intervenuto il legislatore con la legge n. 123/07 che ha esteso la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società ed associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche.

Le disposizioni dettate dal decreto 231, sul quale non mi soffermo meritando ben altri approfondimenti, in sostanza prevedono una serie di fattispecie di reati ai quali si connettono, oltre ovviamente le responsabilità personali degli autori, anche una responsabilità di carattere amministrativo in capo all’ente che nel cui interesse il reato è stato commesso o che comunque dal reato ha tratto beneficio; responsabilità con conseguenti sanzioni non solo pecuniarie ma anche interdittive e pertanto di notevole peso per l’attività dell’ente.

L’estensione di detta disciplina all’ambito della sicurezza sul lavoro muove dalla nuova consapevolezza che al di là della responsabilità penale personale è nel “difetto dell’organizzazione” che si possono individuare profili di responsabilità.

In altri termini si tenta un nuovo ulteriore passaggio: una gestione della sicurezza non basata più solo su di una pur analitica suddivisione di ruoli, competenze e responsabilità bensì basata sulla compenetrazione della sicurezza nella stessa organizzazione aziendale.

L’estensione in parola mancava, tuttavia, di un anello di congiunzione con la normativa di sicurezza perché per le tutte le fattispecie di reato ivi contemplate il decreto 231 prevede una esimente consistente nell’aver adottato un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire i reati ovvero il legislatore ha ipotizzato che anche ricorrendo i reati contemplati ove l’ente si fosse preventivamente dotato di un modello organizzativo con date caratteristiche, idoneo a prevenirli, non dovesse patire le conseguenze della commissione dei reati stessi.

Se tale, in estrema sintesi la disciplina applicabile, una volta estesa alla normativa antinfortunistica, occorreva definire un punto di raccordo con la disciplina specifica vigente in tale ultima materia.

A tale esigenza risponde il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 891, all’articolo 30 rubricato “Modelli di organizzazione e di gestione” ove si prevede che il modello, affinché sia idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa, debba essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento degli obblighi di sicurezza i cui contenuti si rinvengono nel’ambito dello stesso decreto legislativo disponendo poi che il modello debba altresì prevedere: la registrazione delle attività, un’articolazione di funzioni, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, che assicuri le competenze tecniche ed i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio; un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello e sul mantenimento delle condizioni di idoneità delle misure adottate.

Da ultimo, solo un cenno alla previsione, dettata al quinto comma, ai sensi della in sede di prima applicazione i modelli di organizzazione aziendale definiti conformemente alle Linee guida UNI INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al medesimo articolo per le parti corrispondenti.

Ma v’è di più. Quanto sopra assume infatti un rilievo tanto più importante tanto più si valorizzerà il concetto di salute di cui all’articolo 1, comma 1, lett. o) del decreto legislativo n. 81/08 secondo il quale per salute deve intendersi lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità. Aver posto l’accento al benessere non solo fisico e mentale ma anche sociale, l’aver superato una concezione di salute legata solo alla patologie fisiche impone di orientare l’organizzazione verso la prevenzione anche dei rischi di natura psichica e sociale investendo la stessa dell’obbligo assicurare un a condizione di complessivo benessere del lavoratore e così di considerare l’insieme delle relazioni interpersonali di cui è protagonista il lavoratore stesso impegnandosi nel garantire un ambiente di lavoro non solo salubre ma di “buona convivenza”.

In definitiva, avviandomi alla conclusione e prendendo esempio ancora una volta dalle formiche che, come ho detto, lavorano in funzione del benessere della comunità, la sicurezza deve essere nei luoghi di lavoro un obiettivo condiviso da tutti i protagonisti pur con le difficoltà che questo comporta considerando le diverse motivazioni che animano gli esecutivi rispetto al management aziendale.

Il “sistema sicurezza” non deve essere una mera sovrastruttura quanto una componente dell’impresa sin dalla fase progettuale: la prevenzione e la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro devono rappresentare, quindi, un risultato cui l’impresa deve tendere al pari della produzione.

Mi sia consentita infine una battuta: le formiche in realtà personalmente non ritengo siano un modello sociale da imitare non solo perché sono tra le poche specie animali che, come l’uomo, fanno la guerra tra simili ma soprattutto perché i maschi una volta fecondata la regina … muoiono.

(*) Le considerazioni espresse sono frutto personale dell’autore e non impegnano in alcun modo l’amministrazione di appartenenza